Il monitoraggio cardiovascolare
e metabolico nella guida al trattamento del paziente critico, con particolare
riguardo all'uso delle amine
Biagio Allaria – Gianluca De Filippi
Diagnosi e terapia
sono da sempre i fondamenti della medicina: nel nuovo approccio al paziente,
caratteristico della medicina basata sulla evidenza (EBM), il punto basilare
della diagnosi e della terapia, soprattutto del paziente critico, è il monitoraggio
emodinamico.
Il monitoraggio emodinamico
che noi utilizziamo quotidianamente, l’elettrocardiogramma, ha come
primo scopo quello di diagnosticare tempestivamente le aritmie e le ischemie.
Il monitoraggio ECG
dei pazienti critici, siano essi in terapia intensiva o in sala operatoria,
prevede la visualizzazione contemporanea di almeno due derivazioni:
- D2 (derivazione standard:
aVR(-) aVF(+) è utile soprattutto per il riconoscimento delle aritmie,
perché evidenzia bene l’onda P.
- V5 (derivazione precordiale:
ascellare anteriore/5º spazio intercostale) per l’analisi delle ischemie,
perché permette l’identificazione migliore del tratto ST.
È da notare che queste due derivazioni
sono quelle comunemente mostrate per default sui monitor quando si utilizzi
un cavo ECG a cinque elettrodi.
Mentre le aritmie
sono direttamente visualizzate dal monitoraggio ECG, le alterazioni del
tratto ST si rilevano solo quando l’ischemia è già conclamata, quindi occorre
conoscere altri dati per prevenirla.
L’ischemia di un
organo è definibile come una alterazione del rapporto tra disponibilità
e consumo di energia: quindi occorre sorvegliare grossolanamente il rapporto
tra disponibilità di ossigeno del miocardio (MDO2) e consumo di ossigeno
del miocardio (MVO2). MDO2 è deducibile dalla pressione di perfusione coronarica
(CPP Coronary Perfusion Pressure) data dalla differenza tra la pressione
diastolica a livello aortico e la pressione tele-diastolica del ventricolo
sinistro (CPP = PAd aortica–LVEDP); queste pressioni possono essere sostituite,
nella pratica clinica, dalla pressione diastolica rilevata con metodica
non invasiva a livello omerale o radiale e dalla Wedge Pressure (CPP = NIBPd
radiale-WP).
MDO2 è inversamente
proporzionale alla frequenza cardiaca, perchè il riempimento coronarico
si attua in fase diastolica, ed alla pressione sistolica, che aumentando
aumenta il postcarico. Di conseguenza, per quantificare in maniera semplice
ma efficace il MVO2 dobbiamo considerare il cosiddetto doppio prodotto (RPP
Rate Pressure Product) che si ottiene dalla pressione sistolica e dalla
frequenza cardiaca (PAsxFC).
Avendo a disposizione
la rilevazione cruenta della pressione arteriosa è possibile passare
dal monitoraggio delle pressioni a quello dei volumi, controllando così
uno dei fondamentali aspetti del nuovo monitoraggio emodinamico: il riempimento
del ventricolo sinistro. Analizzando sul monitor le variazioni del picco
sistolico dell’onda pressoria (systolic peak pressure variation) possiamo
rilevare il Delta Down (DD) che è la distanza tra il picco sistolico più
basso e la isoelettrica ottenuta in una breve fase di apnea, che elimina
le interferenze cuore-polmone; il riempimento del ventricolo sinistro è
inversamente proporzionale al DD.
Un altro modo per
valutare l’assetto emodinamico è quello di analizzare la curva capnografica,
parametro facilmente ottenibile nei pazienti critici. Cali di pressione
parziale di CO2 espiratoria (PetCO2) sono comuni in molte circostanze che
non implicano variazioni della ventilazione: emorragia, embolia polmonare,
diminuito ritorno venoso. Una riduzione esponenziale di PetCO2, vale a dire
un calo maggiore del 50% in 10-15 atti respiratori, è sicuramente un indice
di diminuita performance cardiaca ed infatti è stato dimostrato che esiste
una buona correlazione tra PetCO2 e indice cardiaco (CI). Solitamente la
correlazione PetCO2/CI (in percentuale) è di 1:2 (quando PetCO2 si riduce
del 20% CI si riduce del 40%). Questa correlazione è particolarmente utile
quale indice di efficacia delle manovre rianimatorie, che mostrano un esito
sfavorevole se la PetCO2 si mantiene inferiore a 10 mmHg. L’osservazione
combinata della PetCO2 e della CO2 dell’emogasanalisi arteriosa (PaCO2)
può essere utilizzata come monitoraggio del rapporto ventilazione/perfusione
(V/Q). Il gradiente PaCO2-PetCO2 normale è 2-5 mmHg: un aumento può essere
dato da un aumento della PaCO2 per aumento dello spazio morto oppure da
una diminuzione della PetCO2 per aumento della quota di shunt (ricordando
che tale gradiente è molto influenzato dalla temperatura per cui ogni riduzione
della temperatura di 1 grado aumenta il gradiente del 100%). Sempre in combinazaione
con PaCO2, PetCO2 può consentire di calcolare lo spazio morto (Vd/Vt) con
l’equazione di Bohr modificata che è particolarmente utile nell’escludere
la diagnosi di embolia polmonare se Vd/Vt <0.2 e D-dimero <0.5 mcG/L,
come dimostrato da Kline (1997):
– Bohr modificata
Vd/Vt =(PaCO2-PetCO2)/PaCO2
Inoltre, PetCO2 può
anche essere utilizzato come sorveglianza del pre-carico/riempimento.
Lo stesso dicasi
con gli intervalli dei tempi sistolici (valutazione accoppiata dell’ECG
e della curva della pressione arteriosa) nei quali il periodo di pre-eiezione
(PEP, dal punto Q al piede dell’onda sistolica) è inversamente proporzionale
al riempimento, il rapporto PEP/ET (ET tempo di eiezione, dal piede dell’onda
all’incisura dicrota) è indice diretto di contrattilità e il rapporto PSA/PEP
(PSA area sottesa all’onda sistolica) è indice diretto di prestazione.
La rappresentazione
accoppiata della curva capnografica e dei tempi sistolici conferma il valore
relativo di questi parametri che sono tra loro inversamente proporzionali,
con PetCO2 che si modifica più lentamente in quanto espressione di un processo
metabolico.
MONITORAGGIO EMODINAMICO
L’esame obbiettivo
classico (pressione arteriosa, colore e temperatura della cute, caratteristiche
del polso radiale, replezione delle vene del collo o delle vene sublinguali)
da sempre fondamento della buona medicina ha consentito per molti decenni
un’interpretazione spesso corretta dell’assetto emodinamico dei pazienti,
si dimostra oggi sufficiente soltanto nella identificazione delle situazioni
conclamate. Nel corso degli anni la semeiotica tradizionale ha sviluppato
pertanto altri parametri di analisi clinica.
La Pressione Venosa
Centrale (PVC) è stata per molto tempo utilizzata quale indice dirimente
nei quadri incerti, consentendo il passaggio dal monitoraggio del riempimento
a quello della funzione del ventricolo sinistro. Nella storia della semeiotica
strumentale la PVC ha subito, dopo una prima fase di entusiasmo, una seconda
fase di rapido accantonamento, essendosi rivelata poco attendibile e troppo
influenzabile da eventi non-cardiaci; ultimamente è in vigore una terza
fase di rivalutazione per quanto riguarda la gestione dei quadri di ipovolemia.
Analoghe alterne
vicende si possono identificare nella storia del cateterismo del cuore destro
o cateterismo dell’arteria polmonare o, più facilmente, Swan Ganz
(SG): una idea salutata inizialmente con entusiasmo per le tante speranze
attivate, che ha in seguito suscitato qualche dubbio e che negli ultimi
anni ha vissuto una intensa campagna denigratoria. Iberti (1990) ritiene
che il 47% dei medici intensivisti non sa usare lo SG, Connors (1996) afferma
che l’impiego dello SG è associato ad un aumento della mortalità dei pazienti
critici, tanto che Dalen e Bone chiedono a gran voce (1996) che la FDA blocchi
l’uso dello SG o che si programmi con urgenza l’esecuzione di uno studio
multicentrico randomizzato. Rubenfeld (1996) commenta queste affermazioni
partendo dal presupposto che lo scalpore in merito non sia una novità, perchè
tanti anni prima già Robin (1985) scrisse su Overuse and abuse dello
SG, anche ai tempi chiedendo una moratoria ed uno studio randomizzato. Uno
studio europeo di Gnaegi (1997) ha confermato che 54% dei medici non è in
grado di leggere ed interpretare correttamente i tracciati dello SG e che
gli stessi operatori hanno una scarsa opinione sulle proprie capacità di
gestire questa metodica: ben il 68% degli specializzandi ritiene la propria
cultura ed esperienza del tutto inadeguate in materia, e la percentuale
degli insoddisfatti scendeva dopo il conseguimento della specializzazione,
rimanendo lo stesso sempre sopra il 36%.
Come finisce, per
ora, il processo allo SG? Ancora forse con un punto interrogativo, ma che
già fa comprendere l’orientamento generale: "Raising the standard of
hemodynamic monitoring: targeting the practice or the practitioner?"
(Nell’intento di migliorare la qualità del monitoraggio emodinamico quale
sarà il nostro obbiettivo: la metodica o gli utilizzatori?). Questo è il
titolo di un editoriale di Ginosar (1997), ma la risposta è necessariamente
una sola, quella di Layon (1999): occorre migliorare gli utilizzatori e
la loro conoscenza.
Analisi ed interpretazione
delle curve di pressione
Si segnalano brevemente
alcuni punti fondamentali:
PVC
- occorre identificare l’onda
a del tracciato pressorio, che segnala la sistole atriale e si
misura nell’intervallo P-QRS dell’ECG.
- esistono alcune situazioni
(il ritmo giunzionale e il ritmo da pace-maker mostrano una onda a
gigante, mentre l’insufficienza tricuspidale mostra una onda v
gigante che non deve essere confusa con la normale onda a) nelle
quali la lettura automatica del monitor può fornire un valore errato.
- per questi casi si ricorda
che la misurazione manuale della PVC sulla curva è la media matematica
tra l’onda a e il pedice successivo o onda x (a+pedice x)/2.
Wedge Pressure (WP) o pressione
di incuneamento
- occorre identificare l’onda
a del tracciato pressorio ottenuto incuneando il catetere, che
segnala la sistole atriale e si misura alla fine dell’intervallo QRS-T
dell’ECG.
- in caso di insufficienza
mitralica è bene rilevare manualmente il corretto valore di WP, per
evitare atomatismi che identifichino l’onda v gigante al posto
della corretta onda a.
- se si rompe il palloncino
sulla punta dello SG o non si ottiene più l’incuneamento si consideri
come WP la PAP telediastolica diminuita di 2-4 mmHg (questo valore non
è logicamente corretto in caso di ipertensione polmonare primitiva)
Portata cardica o Cardiac
Output (CO)
- il metodo migliore per calcolare
la portata cardiaca con la termodiluzione prevede l’impiego di 10 ml
di fisiologica o glucosio 5%, a temperatura ambiente, iniettati in 4
sec, con il valore medio di 3-4 iniezioni.
Il valore delle pressioni rilevate dallo SG non è però un
valore reale, perché viene misurato ottenendo la linea dello zero non a
pressione ambiente bensì all’interno del mediastino. PVC e WP sono pressioni
intratoraciche: per avere un valore assoluto reale occorrerebbe sottrarre
dalle pressioni intratoraciche la pressione pleurica o la pressione pericardica
ottenendo quindi una reale pressione transmurale (tm). Ma come si possono
misurare Ppleurica e Ppericardica ? Nella clinica si possono misurare solo
indirettamente. Parametri corrispondenti alla Ppericardica per misurare
la WP transmurale sono la Pesofagea (Pes, da cui WPtm = WP-Pes) e la pressione
telediastolica ventricolare destra (RVEDP, da cui WPtm = WP-RVEDP); quest’ultima
corrisponde al punto Q dell’ECG misurato sulla curva di pressione della
PVC (PVCq, da cui RVEDP = PVCq e quindi WPtm = WP-PVCq).
L’impiego della pressione
positiva di fine espirazione (PEEP) in corso di ventilazione artificiale
complica ulteriormente l’analisi dei dati, senza tener conto delle variazioni
pressorie identificate dalle zone di West (1992). Pinsky (1991) suggerisce
di identificare come WP la Nadir Wedge cioè quella misurata a 2 secondi
di distacco dal respiratore. Questa affermazione ha suscitato molte obiezioni:
il ritorno venoso aumenta quando si passa a ZEEP, non si conosce la quota
di PEEP trasmessa al mediastino, occorre misurare a priori il valore di
auto-PEEP. Nella pratica clinica si suggerisce di sottrarre dalle pressioni,
misurate comunque sempre a fine espirazione, la metà del valore della PEEP.
L’interpretazione
dei dati emodinamici ottenuti con i moderni metodi di monitoraggio è senza
dubbio semplice e univoca in condizioni estreme, ma nei casi intermedi si
rende indispensabile una valutazione dinamica. Il test più comune è quello
del fluid challenge o carico di volume: in 10 minuti si infondono 50-100-200
mL di colloidi o di fisiologica (quantità e qualità dipendono dalla condizione
clinica di base) e si analizzano i parametri prima e dopo tale evento.
Ad esempio:
– WP 28, CO 2.5,
LVSWI 20 = depressione miocardica sicura (left ventricular stroke work index
LVSWI=SVIx(MAP-WP)x costante).
– WP 18, CO 2.5,
LVSWI 25 = ipovolemia o deficit di pompa ? Se il riempimento si dimostra
vantaggioso (WP rimane uguale, LVSW aumenta) si può parlare di ipovolemia,
in caso contrario (WP aumenta, LVSW rimane uguale) si tratta di deficit
di pompa.
I parametri emodinamici
misurati con lo SG non sono tuttavia sempre sufficienti nel monitoraggio
dei pazienti critici: analizzando l’emogasanalisi del sangue prelevato dalla
via polmonare del catetere, cioè il sangue venoso misto a livello di un
ramo dell’arteria polmonare, e la classica emogasanalisi arteriosa sistemica
possiamo ottenere altre importanti informazioni di monitoraggio.
MONITORAGGIO METABOLICO
Considerando che
il fine di tutti i nostri meccanismi d’organo è la corretta ossigenazione,
occorre valutare se la disponibilità di ossigeno (DO2) è adeguata
(DO2 = COxCaO2, dove CaO2 indica contenuto arterioso di ossigeno = HbxSaO2x13.9).
La DO2, identificabile anche come trasporto di ossigeno, si adegua alle
variazioni cliniche grazie alla CO, mentre un altro meccanismo, l’estrazione
di ossigeno (O2ER = CaO2-CvO2/CaO2), compensa alle carenze di trasporto.
Pertanto nel paziente normale l’ossigenazione non dipende solo da DO2 ,
ma anche da O2ER, il cui limite è molto variabile. Per sapere se DO2 e O2ER
sono efficaci occorre conoscere il consumo di ossigeno (VO2 = CaO2
-CvO2). Nel paziente normale VO2 rimane costante perché O2ER ne asseconda
le variazioni: di conseguenza VO2 e DO2 sono indipendenti nel sano. Ma i
calcoli di VO2 e di DO2 risentono di un fenomeno detto accoppiamento matematico,
poiché prevedono nella loro formula troppe variabili comuni ed è pertanto
facile che VO2appaia correlato a DO2:
- DO2 = COxHbxSaO2x13.9
- VO2 = COxHbx(SaO2-SvO2)x13.9
Nella pratica clinica è utile impiegare
le lineee isoVO2, elaborate dalla Medicina Sportiva, nelle quali si confrontano
CO e O2ER: seguendo su questi diagrammi le modificazioni indotte da interventi
terapeutici (carico di volume, trasfusione, infusione di amine) è possibile
controllare se si verifica una variazione della linea VO2, che è quindi
dipendente da DO2, oppure se, nonostante la modificazione di DO2, VO2 rimane
costante e pertanto da esso non dipendente.
Negli ultimi anni
sono stati compiuti tanti studi per dimostrare che VO2 dipende da DO2 ed
altrettanti per dimostrare il contrario. Gli studi a favore della dipendenza
di VO2 da DO2 sono però stati condotti su pazienti emodinamicamente instabili
nei quali le valutazioni venivano fatte prima/dopo correzione, con accentuazione
del fenomeno dell’accoppiamento; al contrario gli studi contro tale dipendenza
consideravano spesso pazienti emodinamicamente stabili nei quali assumeva
un ruolo preponderante O2ER. Sicuramente vale quanto mostrato da Friedman
(1998): nel settico puo’ esserci dipendenza di VO2 da DO2, soprattutto nelle
fasi di correzione di uno squilibrio.
In ogni caso occorre
oggi bandire concetti di generalizzazione quali quelli espressi da Shoemaker
(1992): "bisogna aumentare sempre DO2 per migliorare outcome" che sono stati
per lungo tempo il frutto di errate analisi emodinamiche che hanno spesso
portato ad effetti non sempre favorevoli. Uno studio multicentrico italiano
coordinato da Gattinoni (1995) considera differentemente la relazione tra
VO2 e DO2 e con essa gli obbiettivi terapeutici del monitoraggio emodinamico,
senza dimenticare che un corretto studio del metabolismo dell’ossigeno deve
prevedere la misurazione diretta di VO2, ottenuta dall’analisi degli scambi
respiratori, e non soltanto l’interpretazione dei parametri derivati dallo
SG.
Bibliografia
minima consigliata
– Darovic GO. HEMODYNAMIC
MONITORING: INVASIVE AND NON-INVASIVE CLINICAL APPLICATION. WB Saunders
Company 1995.
– Perret C, Tagan
D, Feihl F, Marini JJ. THE PULMONARY ARTERY CATHETER IN CRITICAL CARE: A
CONCISE HANDBOOK. Blackwell Science 1996.
– Darovic GO, Franklin
CM. HANDBOOK OF HEMODYNAMIC MONITORING. WB Saunders Company 1999.
Nicola Brienza
MONITORAGGIO DELLA
VOLEMIA
Una condizione di
normovolemia costituisce il prerequisito indispensabile per uno stato di
stabilità e "benessere" emodinamico. Nei pazienti critici, il raggiungimento
della normovolemia è però reso difficile dalla difficoltà di un monitoraggio
accurato ed affidabile dello stato volemico. Le pressioni vascolari di riempimento
(pressione venosa centrale e pressione capillare polmonare di incuneamento)
pur essendo comunemente impiegate nel monitoraggio della volemia, sono parametri
indiretti di precarico. Il valore assoluto delle pressioni di riempimento
può frequentemente portare a imprecise valutazioni dello stato volemico,
poiché la loro accuratezza nella stima del volume intravascolare è influenzata
da numerosi fattori ed.
In un campione di
pazienti critici, Shippy e coll. hanno correlato alcune variabili cliniche
comunemente monitorizzate con misure di volume ematico eseguite con il metodo
di diluizione dell’albumina umana marcata con iodio 125 durante le fasi
di rianimazione, degenza in terapia intensiva e dopo fluidoterapia. Sebbene
sia il volume ematico che le variabili monitorizzate (come la pressione
arteriosa, la frequenza cardiaca, l’indice cardiaco, la pressione venosa
centrale e la pressione capillare polmonare) fossero alterati, non fu riscontrata
alcuna correlazione significativa fra l’entità del deficit o dell’eccesso
di volume ematico e le variabili misurate. Persino dopo fluidoterapia, sebbene
sia il volume ematico che le variabili comunemente misurate variassero nella
direzione attesa, i coefficienti di correlazione non erano accettabili.
Le pressioni di riempimento,
comunemente impiegate come indicatori di precarico e volemia, sono determinate
non solo dal volume ematico contenuto all’interno dei vasi, ma anche da
fattori extravolemici quali la compliance venosa, la funzione cardiaca e
la pressione intratoracica. In condizioni di funzione cardiaca normale,
la pressione di riempimento del cuore sinistro è solo di pochi mmHg superiore
a quella del cuore destro, cosicché quest’ultima è stata considerata un
indice affidabile di precarico. Comunque, la valutazione del riempimento
cardiaco dal monitoraggio della pressione venosa centrale risulta fortemente
influenzata dalle determinanti fisiologiche della performance ventricolare
destra. La notevole compliance diastolica del ventricolo destro (VD) fa
sì che ampie variazioni di volume telediastolico siano facilmente accomodate
con modeste variazioni di pressione e che le pressioni di riempimento del
VD cambino poco nel range fisiologico dei valori di volume ventricolare
destro di fine diastole. La pressione venosa centrale può non riflettere
accuratamente i volumi ventricolari telediastolici e può non correlare con
le pressioni di riempimento del ventricolo sinistro (VS) in presenza di
disfunzione ventricolare sinistra, ipertensione polmonare e/o disfunzione
ventricolare destra. Inoltre, la stessa pressione capillare polmonare può
non essere valida come misura di precarico in presenza di alterazioni della
distensibilità del VS. Una riduzione della compliance diastolica ventricolare
sinistra aumenta la pressione capillare polmonare in assenza di variazione
dei volumi diastolici. Inoltre, essendo la compliance diastolica del VS
notevolmente inferiore a quella del VD, ogni piccola variazione di volume
ventricolare sinistro può indurre variazioni proporzionalmente maggiori
della pressione capillare polmonare. Quindi, variazioni delle pressioni
di riempimento non indicano necessariamente variazioni di volume, e questo
è ancor più vero nei pazienti cardiopatici.
Che cos’è effettivamente
il precarico? Il precarico può essere considerato come la lunghezza delle
fibre miocardiche alla fine della diastole e, in base alla legge di Frank-Starling,
più lunga è la fibra, maggiore è la forza che essa genera. Il precarico
dovrebbe essere idealmente misurato con tecniche in grado di registrare
la lunghezza delle fibre, ma essendo imposssibile, al momento, misurare
tale variabile a letto del paziente, vanno utilizzati altri parametri che
siano teoricamente correlati alla lunghezza del sarcomero. Il volume di
fine diastole ventricolare è un parametro che può riflettere la configurazione
dei sarcomeri miocardici. Negli anni ’80, la tecnologia ha sviluppato un
catetere in arteria polmonare dotato di un termistore a risposta rapida
che permette di misurare al letto del paziente il volume telediastolico
del VD, una stima, quindi, del preload ventricolare destro più accurata
rispetto alla pressione venosa centrale ed utilizzabile come guida nel rimpiazzo
volemico. Tale misura si dimostra particolarmente utile in corso di ventilazione
meccanica con o senza PEEP, allorquando, cioè, il precarico si riduce mentre
le pressioni di riempimento tendono ad aumentare per l’aumento di pressione
intratoracica. Inoltre, la misura dei volumi del VD permette di valutare
la performance ventricolare sia in corso di insufficienza respiratoria acuta
che in corso di insufficienza respiratoria cronica. Un approccio alternativo
allo Swan-Ganz per il monitoraggio della volemia è costituito dalla tecnica,
recentemente sviluppata, di diluizione transpolmonare dell’indicatore, ovvero
il sistema COLD, che richiede un catetere in vena centrale ed un catetere
in arteria femorale. Così come con lo Swan-Ganz, anche con questa tecnica
la misurazione della gittata cardiaca si basa sul metodo della termodiluizione,
con la sola differenza che il sito di campionamento delle variazioni di
temperatura è costituito da un’arteria sistemica. Lo stato volemico può
essere contestualmente valutato con il metodo di diluizione di un colorante,
il verde di indocianina (ICG), utilizzato come tracciante intravascolare
e le cui concentrazioni sono misurate tramite una fibra ottica posizionata
sullo stesso catetere inserito in arteria femorale. Una volta iniettato,
il verde di indocianina si diluisce all’interno del sistema vascolare e
misurando la sua curva di diluizione, si può ottenere il volume ematico
all’interno del quale l’ICG si è diluito durante il suo primo passaggio
come il prodotto della gittata cardiaca e dei tempi di transito medio. Tale
volume di diluizione corrisponde al volume posto fra sede dell’iniezione
(atrio destro) e sede di campionamento (aorta sottodiaframmatica) ovvero
al volume di sangue intratoracico (ITBV).
Numerosi studi hanno
dimostrato come l’ITBV sia un indicatore di precarico sinistro molto più
affidabile della pressione capillare polmonare, particolarmente nei pazienti
ventilati in cui la pressione capillare polmonare tende a sovrastimare lo
stato volemico. In pazienti cardiochirurgici, né, come atteso, le pressioni
di riempimento, né gli stessi volumi di fine diastole dell’atrio e del VD
possono essere considerati affidabili parametri di precarico quando comparati
all’ITBV ed al volume globale cardiaco di fine diastole, entrambi misurati
con la tecnica della diluizione transpolmonare. Più recentemente, è stato
consigliato un approccio più semplice per misurare l’ITBV che richiede una
singola misura di termodiluizione arteriosa senza necessità di iniettare
l’ICG. Il principio alla base di questo approccio è che il volume cardiaco
di fine diastole globale è direttamente correlato con l’ITBV e può essere
adeguatamente misurato con la sola termodiluizione arteriosa. L’ITBV derivato
dalla sola termodiluizione corrisponde adeguatamente a quello misurato con
la tecnica del doppio indicatore (bias medio 7.6±57.4 ml/m2).
La diluizione del
verde di indocianina è alla base di nuove tecniche con fibre ottiche come
la pulse dye-densitometry (PDD) che misurano la volemia con semplici sensori
(simili a quelli della saturimetria arteriosa), applicati sulle narici o
sulle falangi. Quando sono stati comparati i valori di volemia ottenuti
con questa tecnica con quelli ottenuti con l’albumina sierica umana marcata
– procedura di riferimento per le misure di volemia – il bias medio era
pari al 4% in volontari sani e valori affidabili sono stati ottenuti anche
in pazienti in anestesia generale. Questa tecnica ha le stesse limitazioni
del metodo di diluizione transpolmonare, poiché misura la componente rapida
del volume circolante ovvero il volume attivo, e non la volemia totale;
comunque, ha il vantaggio di essere meno invasiva e di poter essere applicata
in modo ripetititvo entro brevi periodi di tempo costituendo indubbiamente
un passo avanti importante nel monitoraggio del volume ematico.
Le possibilità di
monitorizzare il volume ematico, dunque, sono ai nostri giorni numerose.
Pur tenendo in debito conto che una grave alterazione del volume circolante
(come l’ipervolemia o l’ipovolemia) contribuisce ad un aumento significativo
della mortalità, nella valutazione emodinamica di ogni paziente non va dimenticato
che il volume ematico (così come altri indicatori di precarico) costitutisce
solo uno dei fattori che influenzano la gittata cardiaca. Quando gittata
cardiaca e volemia cambiano contemporaneamente non vi è dubbio che la gittata
cardiaca dipende dal precarico, ma il volume ematico da solo non può essere
considerato sinonimo di gittata cardiaca e non dovrebbe, come tale, sostituirla.
SIGNIFICATO DELLA
GITTATA CARDIACA
Ma quale valore ha
oggi la gittata cardiaca? Alcuni decenni fa, si era nel 1959, si incominciò
ad apprezzare l’importanza della gittata cardiaca, osservando che vi era
una differente risposta cardiovascolare fra pazienti postoperati sopravvissuti
e non sopravvissuti, anche di chirurgia toracica. Venti anni più tardi,
Shoemaker et al osservarono che la gittata cardiaca ed il TO2,
ma non la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, la pressione venosa
centrale e la concentrazione emoglobinica erano i migliori predittori dell’esito.
Nello specifico, i pazienti chirurgici ad alto rischio sopravvissuti presentavano
valori medi di indice cardiaco, TO2 e VO2 >4,5
lt/min/m2, >600 ml/min/m2 e >170 ml/min/m2,
rispettivamente.
Negli anni successivi
questi valori sopranormali sono stati testati in modo prospettico e randomizzato.
Il primo studio che ha affermato in modo sistematico l’importanza di raggiungere
un valore TO2 sopranormale è stato quello di Shoemaker et al
pubblicato nel 1988. Gli Autori osservarono che era possibile ottenere un
miglioramento della mortalità dei pazienti postoperati dal 38 al 4% se si
massimizzava la gittata cardiaca, il TO2 ed il VO2
già nel preoperatorio. Tali risultati furono confermati da Boyd et al. A
fronte di un gruppo di controllo di pazienti ad alto rischio che ricevevano
terapia perioperatoria standard, gli AA nel gruppo di trattamento mantenevano
il TO2 a valori uguali o superiori a 600 ml/min/m2
durante l’atto chirurgico ed il postoperatorio fino a quando la concentrazione
di lattati arteriosi si riduceva. L’aumento di gittata cardiaca era ottenuto
tramite infusione di dopexamina cloridrato, un analogo della dopamina con
effetti di vasodilatazione periferica. La mortalità a 28 giorni del gruppo
trattamento era significativamente inferiore rispetto a quella del gruppo
controllo (6% versus 22%).
Altri studi prospettici
sono stati condotti su questo argomento in altre categorie di pazienti.
Tuchschmidt et al hanno trattato alcuni pazienti con sepsi adottando come
target terapeutico un indice cardiaco >6 lt/min/m2 e pressione
sistolica >90 mmHg, ed altri pazienti, sempre settici, adottando come
target un indice cardiaco >3 lt/min/m2. La mortalità risultò
pari al 72% nel gruppo con IC inferiore rispetto al 50% del gruppo con IC
maggiore. Sebbene tale differenza non fosse statisticamente significativa,
gli AA concludevano, dopo una restratificazione a posteriori dei dati, che
valori emodinamici sopranormali erano efficaci nel migliorare la sopravvivenza.
Anche Yu ed altri hanno valutato l’impatto di una strategia terapeutica
volta a massimizzare il TO2 sulla mortalità dei pazienti critici,
raggiungendo nel gruppo di controllo un TO2 compreso fra 450
e 550 ml/min/m2 e, nel gruppo di trattamento, un TO2
>600 ml/min/m2. Non furono riscontrate differenze di mortalità
fra i 2 gruppi, sebbene una analisi retrospettiva dei risultati, ovvero
una suddivisione del campione in pazienti che rispondevano e pazienti che
non rispondevano al trattamento, mostrò differenze di mortalità. È ovvio
che tutti questi risultati più che indicare un beneficio del trattamento
sulla mortalità, indicano che i pazienti con valori più elevati di gittata
cardiaca e TO2 sopravvivono più degli altri. Dunque, in questi
studi condotti su pazienti critici ad eziologia differente, il raggiungimento
di valori sopranormali di gittata cardiaca e TO2 non sembra influenzare
l’outcome. Comunque, pazienti che presentano valori sopranormali sembrano
aver più possibilità di sopravvivere.
Nel 1994, in un nuovo
studio prospettico e randomizzato 100 pazienti critici sono stati suddivisi
in un gruppo sottoposto ad aumento di TO2 e VO2 con
somministrazione di dobutamina ed in un gruppo di controllo. Pur presentando
differenze significative nei valori di GC e TO2, la mortalità
del gruppo trattato era significativamente maggiore(!) rispetto al gruppo
controllo (48% versus 30%). Ancor più recentemente 762 pazienti di terapia
intensiva sono stati randomizzati entro 48 ore dal ricovero in uno di 3
gruppi di trattamento: gruppo controllo in cui il trattamento era orientato
a raggiungere valori compresi fra 2.5 e 3.5 lt/min/m2 di indice
cardiaco; un gruppo sopranormale, in cui il trattamento era orientato a
raggiungere valori di indice cardiaco >4.5 lt/min/m2; ed un
gruppo SvO2 in cui il target terapeutico era costituito dal raggiungimento
di valori di SvO2 >70%. Sebbene nel gruppo sopranormale fossero
raggiunti valori maggiori di indice cardiaco e TO2, non si apprezzarono
differenze di sopravvivenza nè alla dimissione dalla Terapia Intensiva nè
a 6 mesi.
In una metanalisi
condotta sulla maggior parte degli studi sopra citati si evince che i pazienti
trattati per ottenere valori sopranormali di indice cardiaco, TO2
e VO2 presentano un trend verso una mortalità inferiore rispetto
ai rispettivi pazienti di controllo, sebbene questo risultato non raggiunga
globalmente una significatività statistica. Il rischio relativo è pari a
0.86 con intervallo di confidenza pari a ±0.24, ovvero in media vi è un
lieve, non significativo beneficio (rischio <1) offerto dal raggiungimento
di valori sopranormali di TO2 e IC. Compiendo un’analisi per
sottogruppi, nei pazienti in cui il trattamento sia stato incominciato già
nel preoperatorio il rischio relativo diventa minimo (0.2 con intervallo
di confidenza tale da portare tutti i pazienti ad un rischio <1), mentre
per pazienti in cui il trattamento sia iniziato dopo il ricovero in terapia
intensiva il rischio relativo diviene pari allo 0.98, ovvero non sembra
esservi alcun beneficio derivato da questo tipo di trattamento.
In effetti, se si
considerano solo i lavori in cui la randomizzazione e lo studio sono stati
eseguiti precocemente nel corso della malattia nel tentativo di prevenire
l’ipossia tissutale, nella totalità di questi studi l’approccio profilattico
di aumentare il TO2 ha permesso di conseguire risultati positivi
in termini di mortalità. Se si considerano tutti gli altri studi in cui
il trattamento di ottimizzazione del TO2 era eseguito in pazienti
critici, con patologia già in atto, si evince che la mortalità è non differente
o addirittura aumentata nel gruppo trattamento. Quindi, il raggiungimento
di un sovranormale TO2 non sembra efficace nel ridurre la mortalità
quando utilizzato per pagare un debito di ossigeno già contratto.
Il raggiungimento
fideistico, acritico ed indiscriminato di valori sovranormali emodinamici
non trova dunque al momento giustificazione assoluta. È altresì vero che
una parte della letteratura supporta il raggiungimento di valori sovranormali
come prevenzione dell’ipossia tissutale, laddove gli stessi goal raggiunti
ad ipossia già in atto non sembrano sortire gli stessi benefici effetti.
È indubbio che in futuro potranno essere definiti ambiti più precisi in
cui l’ottimizzazione emodinamica possa essere di beneficio. Basti pensare
a recenti studi che, sebbene effettuati su campioni non numerosi, mostrano
una riduzione della mortalità legata al raggiungimento di valori sovranormali
di TO2 solo in pazienti con sindrome da risposta infiammatoria
sistemica con età compresa fra i 50 ed i 75 anni. Da sottolineare che nel
suddetto studio l’aumento di TO2 non è accompagnato da alcun
aumento di VO2 a suggerire che gli effetti favorevoli dell’aumento
di TO2 possono essere diversi dalla riduzione del debito di ossigeno
(riduzione di citokine pro-infiammatorie?) o a suggerire che un indice sistemico
come il VO2 possa essere inadeguato in situazioni cliniche complesse
in cui coesistono disturbi non omogenei di ossigenazione periferica. Infatti,
nonostante adeguati o sopranormali livelli di TO2 sistemico,
può verificarsi ischemia regionale e microregionale con concomitante o conseguente
disfunzione d’organo.
L’IMPORTANZA DELLA
PRESSIONE ARTERIOSA
Mentre il TO2
sistemico è determinato dal prodotto del flusso ematico totale per il contenuto
arterioso di ossigeno, il flusso ematico distrettuale (e quindi il TO2
regionale) è determinato dalla differenza fra pressione di entrata e pressione
di uscita (o pressione di chiusura) diviso per le resistenze dei singoli
distretti vascolari. In altre parole, se il TO2 esprime la quantità
totale di ossigeno pompata dal cuore verso la periferia, è il gioco delle
pressioni e delle resistenze distrettuali che determina dove il TO2
si va a distribuire.
In condizioni normali,
i distretti vascolari più importanti come il cuore, il cervello ed il rene
presentano dei fenomeni di compenso tali da rendere il flusso indipendente
dalla pressione entro range pressori più o meno ampi, secondo il fenomeno
dell’autoregolazione del flusso. In condizioni di sepsi tale relazione fra
flusso e pressione può non essere indipendente, cosicché in numerosi distretti
vascolari, il flusso regionale sarà determinato unicamente dalla pressione
di perfusione. Se l’autoregolazione del flusso non è più efficace (vedi
ischemia-riperfusione o sepsi), la funzione d’organo potrà essere preservata
e/o migliorata non solo attraverso l’aumento del TO2 ma anche
attraverso l’aumento della pressione arteriosa. Non è un caso che sebbene
la pressione arteriosa non sembra predire l’esito, oggigiorno sia in campo
clinico che sperimentale, il target di pressione arteriosa minima sia stato
progressivamente elevato dai valori di PA media di 45 mmHg riportati qualche
anno fa, a valori per lo meno >80 mmHg. In tale ottica, l’uso clinico
di catecolamine ad azione vasocostrittrice è stato rivalutato. Se a cavallo
fra gli anni ’80 e ’90 la catecolamina più usata era la dobutamina con azione
inotropa, ma anche vasodilatatrice, è indubbio che negli ultimi anni da
più parti è stato rivalutato l’impiego di amine come la noradrenalina, con
più spiccata azione vasocostrittrice. La logica alla base di questa progressiva
rivalutazione risiede nella maggiore attenzione che si pone al miglioramento
della pressione arteriosa ed al conseguente miglioramento della funzione
di alcuni organi vitali come il cervello e il rene. Il metodo più semplice
per aumentare la pressione è quello di variare le resistenze arteriose.
Ma, se le resistenze aumentano, il flusso può ridursi e in presenza di un
incremento della richiesta di ossigeno, come avviene nella sepsi, un aumento
generalizzato di resistenze con riduzione di flusso può provocare effetti
deleterei.
NORADRENALINA
E RENE
Se questa dinamica
è valida in condizioni normali, non sempre gli stessi principi possono applicarsi
in corso di sepsi, situazione in cui l’autoregolazione così come la vasocostrizione
a-mediata risulta alterata. Nel rene, per esempio, Kelleher et al hanno
osservato che in corso di insufficienza renale post-ischemica la somministrazione
intrarenale di noradrenalina non produce alcuna vasocostrizione, laddove
la somministrazione di noradrenalina in un gruppo controllo causa un marcato
effetto vasocostrittore riducendo il flusso renale. In modo simile studi
sperimentali hanno mostrato un cambiamento nella risposta renovascolare
alle catecolamine (dopamina ed adrenalina) durante sepsi, suggerendo una
riconsiderazione del loro uso nel trattamento della sepsi e della disfunzione
d’organo. Recentemente, uno studio sperimentale ha valutato gli effetti
della noradrenalina sulle relazioni pressione/flusso dell’arteria renale
in condizioni fisiologiche e dopo induzione di sepsi. Gli Autori osservano
che, in condizioni di controllo, come atteso per una vasocostrizione a-mediata,
la noradrenalina aumenta non solo la pressione arteriosa sistemica ma anche
la pressione a zero flusso dell’arteria renale cosicché a parità di pressione
il flusso renale si riduce; dopo induzione di sepsi la noradrenalina non
solo ripristina adeguati valori pressori e quindi la pressione di perfusione
renale, ma anche riduce le resistenze e la pressione di chiusura dell’arteria
renale. L’effetto finale è un aumento di flusso renale dato dall’azione
sulla pressione di perfusione e da quella sulle resistenze vascolari renali.
Numerosi studi clinici
hanno valutato gli effetti della noradrenalina sulla funzione renale concludendo
che la noradrenalina può migliorare la pressione arteriosa e la filtrazione
glomerulare quando il flusso urinario, come avviene nello shock settico,
si riduce a causa di una riduzione della pressione di perfusione glomerulare
renale. Poiché la noradrenalina ha un effetto maggiore sulle resistenze
dell’arteriola efferente ed aumenta la frazione di filtrazione, la normalizzazione
delle resistenze vascolari renali può effettivamente ripristinare il flusso
urinario. Schaer et al hanno dimostrato che durante infusione di noradrenalina,
mentre le resistenze vascolari renali aumentano, il flusso renale rimane
stabile o aumenta lievemente a causa dell’effetto di aumento della gittata
cardiaca e della pressione di perfusione renale.
AMINE VASOATTIVE
E DISTRETTO SPLANCNICO
Non trascurabile
rimane la potenziale compromissione dell’ossigenazione del territorio splancnico
pur in presenza di adeguato TO2. L’interesse rivolto a questo
territorio deriva dal potenziale ruolo critico del distretto splancnico
sia come "motore" della Multiple Organ Failure che come organo sentinella
"canary" (canarino, con riferimento alla funzione di spia di eventuali fughe
di gas che i canarini svolgevano nelle miniere), ovvero organo particolarmente
sensibile a riduzioni di disponibilità di ossigeno.
Adrenalina
e noradrenalina. Alcuni eleganti studi hanno dimostrato la non perfetta
corrispondenza fra il comportamento sistemico e quello gastrointestinale
dei fattori che regolano il TO2. In particolare, Levy et al hanno
paragonato in uno studio prospettico, randomizzato gli effetti emodinamici
sistemici e regionali dell’associazione noradrenalina-dobutamina versus
adrenalina in pazienti con shock settico resistente alla dopamina. È estremamente
interessante notare come in tutti e due i gruppi la somministrazione delle
catecolamine secondo il suddetto schema comportasse un netto aumento del
TO2 con VO2 stabile. Tale comportamento potrebbe far
pensare ad una situazione di supply independency sistemica. In realtà la
misurazione del pH intramuscosale gastrico (pHi)(indicatore di perfusione
splancnica) mostrava come, per identici valori di TO2 e VO2
sistemici, fosse presente una situazione di ipoperfusione splancnica, con
pHi ridotto, nel gruppo trattato con adrenalina. In modo simile Meier-Hellmann
et al hanno osservato che nonostante simili profili emodinamici sistemici,
l’adrenalina causa una riduzione del 43% del flusso splancnico quando paragonato
al flusso presente in corso di somministrazione di dobutamina e noradrenalina
associate. Queste osservazioni supportano la teoria che l’ipossia regionale
può non essere direttamente individuabile dalla misurazione delle variabili
sistemiche e confermano che, nonostante adeguati o sopranormali livelli
di TO2 sistemico, può verificarsi ischemia regionale e microregionale
con conseguente disfunzione d’organo.
Se, dunque, l’adrenalina
sembra non essere particolarmente vantaggiosa per il distretto splancnico,
gli effetti della noradrenalina sul circolo splancnico, almeno in corso
di sepsi, possono essere meno deleterei di quanto normalmente si ritiene.
Poiché le variazioni di flusso splancnico sono parallele a quelle di gittata
cardiaca, se la gittata cardiaca è mantenuta, un trattamento con sola noradrenalina
non comporta necessariamente effetti deleteri sull’ossigenazione splancnica.
In modo più appropriato, comunque, nel trattamento dello shock settico sarebbe
conveniente associare alla noradrenalina l’infusione di dobutamina in modo,
comunque, da prevenire eventuali riduzioni di gittata cardiaca e quindi
di flusso splancnico.
Dobutamina,
dopexamina e dopamina. Il flusso splancnico tende, come detto, a
cambiare in modo consensuale alla gittata cardiaca sistemica a prescindere
dalle situazioni cliniche, e non esiste alcuna catecolamina che favorisca
una redistribuzione selettiva di flusso verso il territorio splancnico.
Fra tutte, la dobutamina sembra, comunque, possedere effetti favorevoli
sul circolo splancnico, non solo perché garantisce che eventuali aumenti
di gittata cardiaca comportino proporzionali aumenti di flusso splancnico,
ma anche perché sembra possedere effetti positivi sul microcircolo della
mucosa gastro-intestinale. In corso di sepsi, la distribuzione del flusso
all’interno della parete gastrointestinale è alterata con ipossia della
mucosa persino in presenza di un flusso globale normale o aumentato. È stato
osservato che la dobutamina possiede una propria azione vasodilatatrice
sulla mucosa gastrica, superiore a quella di altri farmaci. Nei pazienti
settici, Gutierrez et al hanno riscontrato con la somministrazione di dobutamina
un aumento del pH intramucosale gastrico non legato ad alcuna variazione
di gittata cardiaca. L’aggiunta di dobutamina a pazienti cui è somministrata
noradrenalina aumenta in modo selettivo il flusso della mucosa gastrica
anche quando la gittata non si modifica ed il rapporto fra perfusione della
mucosa gastrica e trasporto di ossigeno globale in corso di somministrazione
combinata dobutamina-noradrenalina è significativamente maggiore rispetto
a quello riscontrato con adrenalina o noradrenalina somministrati come singolo
farmaco. Questi risultati confermano il ruolo di un effetto di vasodilatazione
della dobutamina dovuto all’azione sui recettori b2-adrenergici
che favorisce una distribuzione di flusso verso la mucosa a spese dello
strato muscolare della parete gastroenterica. In modo simile, la dopexamina
un potente agonista b2- e dopaminergico,
pur non inducendo variazioni di gittata cardiaca aumenta il pHi dei pazienti
critici. Poiché la dopamina a dosaggi dopaminergici non ha alcun effetto
sul pHi, è verosimile che anche la dopexamina, come la dobutamina, pur non
essendo un vasodilatatore splancnico selettivo (ovvero pur non aumentando
la frazione di gittata cardiaca che perfonde gli organi splancnici), induca
una redistribuzione di flusso all’interno della parete gastroenterica tale
da migliorare il pHi. È altresì vero che l’aggiunta di dopexamina alla dobutamina
non comporta effetti sinergici, ma anzi tende a ridurre il flusso della
mucosa gastrica, perché probabilmente con i recettori b2 già occupati dalla dobutamina, possono
evidenziarsi gli effetti sfavorevoli dopaminergici della dopexamina sulla
redistribuzione del flusso. L’effetto dopaminergico sul flusso splancnico,
infatti, non sembra essere particolarmente vantaggioso. Basse dosi di dopamina
possono aumentare il flusso all’intestino, ma contestualmente inducono una
redistribuzione di flusso verso la tonaca muscolare ed a spese della mucosa
gastroenterica. In pazienti settici, la dopamina può aumentare il flusso
splancnico nei pazienti in cui tale flusso è inizialmente basso, ma può
addirittura ridurlo nei pazienti in cui il flusso è inizialmente elevato
(Tabella 1).
PRO |
Espansione
volemica |
|
Aumento
di gittata cardiaca |
|
Dobutamina
e dopexamina
(aumento perfusione mucosa gastrica) |
CONTRO |
Non esistono vasodilatatori
splancnici selettivi |
|
Adrenalina e noradrenalina da sole
possono peggiorare il flusso splancnico |
|
Dopamina peggiora
perfusione mucosa gastrica |
|
Perfusione del microcircolo
può differire dal macrocircolo |
|
Risposta interindividuale variabile |
Tabella 1 – Perfusione
splancnica ed amine vasoattive.
In conclusione, trattare
tutti i pazienti adottando come unico target il raggiungimento di valori
sovranormali di gittata cardiaca e trasporto di ossigeno non è, al momento,
raccomandato. Alcuni pazienti potranno sicuramente beneficiare di tale trattamento,
ma la maggior parte di essi, soprattutto quando ipossia e/o danno d’organo
sono già in corso, non riceveranno alcun beneficio.
In tali pazienti
il raggiungimento di goal emodinamici non potrà prescindere dal corretto
controllo e dalla "difesa" della pressione arteriosa e dalla ottimizzazione
di indici di adeguatezza della ossigenazione, della perfusione e della funzione
d’organo. L’obiettivo finale è quello di allargare progressivamente la nostra
attenzione dall’emodinamica puramente sistemica e convettiva (gittata cardiaca
e trasporto di ossigeno) a quella distrettuale e periferica.
Attualità
sul monitoraggio a media e bassa invasività
Marco Dei Poli
Il viaggio nel monitoraggio
non invasivo inizia da una considerazione fondamentale: in Sala Operatoria
come in Terapia Intensiva la valutazione dello stato emodinamico può essere
essenzializzata a 3 informazioni principali:
1) lo stato della
volemia e la sua relazione con il precarico del cuore;
2) la qualità della
funzione contrattile del cuore e della performance circolatoria;
3) la bontà della
perfusione d’organo, in particolare per gli organi "nobili" (cuore, cervello,
reni) e per lo splancnico.
Non importa quanti
e quali strumenti o parametri vengono impiegati, nel momento in cui una
figura chiara di questi assetti, diretta od indotta, si renda disponibile
al ragionamento dell’Anestesista Rianimatore.
Il rapporto costo-beneficio
delle diverse metodiche di monitoraggio – in termini di invasività, di pericolosità
per il paziente, di costo economico, di tempo necessario all’attuazione,
di difficoltà interpretativa – penalizza spesso il livello di monitoraggio
messo in atto: si tende cioè a ridurre il quantitativo dei dati utili all’interpretazione
al di sotto del livello di necessità, affidando le decisioni all’intuizione,
all’esperienza anedottica e a schematismi abituali di comportamento.
Tutto questo rende
di attualità – in un’epoca di tecnologia a basso costo e alta diffusione,
e di elevata responsabilità medico-legale – la ricerca di dati aggiuntivi
di elevato significato e basso costo (in tutte le diverse accezioni del
termine).
Iniziamo la nostra
esplorazione alla ricerca di informazioni sul precarico.
La mai risolta diatriba
su monitoraggio pressorio o volumetrico vede come metodiche di riferimento
il cateterismo dell’arteria polmonare (Swan Ganz) e l’ecocardiografia transesofagea,
e i rispettivi parametri di precarico, la wedge pressure e l’area
telediastolica (EDA, end diastolic area).
A proposito di pressioni
come indicatori indiretti di volume va ricordato come tutti gli studi sono
concordi nel definire povere le correlazioni fra indice di volume sistolico
(SVI, systolic volume index) e pressione venosa centrale (CVP,
central venous pressure) o wedge pressure, negando così valore a
questi due parametri come determinanti della relazione di Frank Starling.
Il volume di sangue
intratoracico (ITBV), parametro ottenibile con la metodica della termodiluizione
con doppio indicatore (verde indocianina e termico, strumento COLD Pulsion),
risulta ottimamente correlato all’ SVI e possiede un ricco corpo di citazioni
in letteratura: la complessità della metodica ne fa però un parametro da
ricerca clinica non ottenibile nella routine.
Ritorna di attualità
un parametro che ha avuto alterna fortuna negli anni ’80: il volume telediastolico
(EDV, end diastolic volume), oggi opzione possibile dei cateteri
di Swan Ganz modificati per il calcolo della gettata cardiaca in continuo
(Intellicath Edwards). La più moderna tecnologia dei termistori a risposta
rapida permette di ottenere questo dato in modo continuo e semplice, ma
sempre nel contesto del cateterismo dell’arteria polmonare con cateteri
a costo elevato.
La consuetudine comunque
porta ad impiegare ancora CVP e wedge per la valutazione routinaria del
paziente critico: bisogna ricordare che questi dati – comunque impiegati
– riflettono un riempimento relativo, vale a dire in relazione alle dimensioni
del circolo di resistenza e soprattutto di capacitanza.
Una CVP o una wedge
accettabili – ed è sempre difficile esprimere la "bontà" o la normalità
di un singolo dato – possono essere tali ad esempio solo perché il comparto
di capacitanza è reso tonico e poco compliante da amine vasoattive o da
una scarica adrenergica. CVP e wedge conservano un buon valore interpretativo
solo per i bassi valori estremi.
Un grande progresso
in questo senso viene da una vecchia metodica resa attuale dai progressi
della tecnologia dei sensori (fatto questo che nel monitoraggio è quasi
una costante).
Lo strumento DDG
(Nihon Kohden) permette di misurare il volume circolante mediante il principio
della diluizione di un colorante (il verde indocianina) impiegato
come indicatore. La misurazione della concentrazione istantanea nel sangue
del colorante iniettato centralmente, viene effettuata in modo del tutto
non invasivo con un sensore spettrofotometrico applicato al dito (o al lobo
auricolare o alle pinne nasali), in analogia a quanto avviene per la pulsossimetria.
La curva di decadimento della concentrazione del verde e il recircolo del
colorante permettono di calcolare la funzione che genera il dato di volemia
(oltre a dati accessori – non meno preziosi – quali la gettata cardiaca
e la performance epatica di eliminazione del verde indocianina).
L’area telediastolica
(misurata in proiezione trangastrica asse corto, a livello dei muscoli papillari)
è la misura più nota fra le molte messe a disposizione dall’ecocardiografia
transesofagea per la valutazione del precarico e del riempimento. Si
tratta di dati di indiscutibile valore, molto vicini ad una valutazione
assoluta e del tutto dirimente sul problema dell’adeguatezza del riempimento.
Si ricordi però che anche questo dato – quando esprime una misura volumetrica
– mette in atto delle computazioni (per esempio la equazione di Simpson)
atte a trasformare un’area (bidimensionale) in un volume (tridimensionale).
Superfluo ricordare i costi strumentali, la specificità dell’esperienza
necessaria all’ottenimento di dati corretti, alla peculiarità degli ambiti
di applicabilità della metodica.
A proposito di misure
indirette di riempimento deve essere introdotto il concetto di "misure dinamiche".
La misura ventricolografica o radionucleare delle dimensioni del ventricolo
sinistro (VS) può essere definita come dato diretto statico; la misura ecocardiografica
– e in misura minore la misura pressoria da Swan Ganz – va definita come
dato statico indiretto. Altri parametri – e ci riferiamo in particolare
all’end tidal CO2 (EtCO2) e al tempo di preiezione dei
tempi sistolici (PEP) – si modificano o meno in relazione ad
una variazione del precarico: possono essere definiti dati indiretti dinamici,
e costituiscono dei validi strumenti per quello che viene definito "filling
test" (infusione rapida di un bolo di 250 ml di cristalloidi o colloidi,
e valutazione del dato pre e postinfusione).
Il razionale all’impiego
dell’EtCO2 come dato di monitoraggio emodinamico nasce dalla fisiologia
del rapporto ventilazione-perfusione (V/Q) che regola la relazione fra alveolo
e capillare e governa la qualità degli scambi gassosi nelle diverse zone
del polmone (apici-basi), nelle diverse posture (orto e clinostatica, in
decubito laterale, prono o supino), e in condizioni circolatorie e respiratorie
differenti.
L’eliminazione alveolare
di CO2, di cui l’EtCO2 è rappresentazione, è correlata – a metabolismo e
ventilazione costante – alla perfusione capillare dell’alveolo unitario.
Lo studio del differenziale alveolo-arterioso di CO2 (DCO2, dato da PaCO2-EtCO2)
permette di discriminare un rapporto ventilazione-perfusione normale da
uno alterato o patologico. Una brusca caduta di EtCO2, nello spazio di 10-15
cicli respiratori, è quasi sempre indicativa di un calo di portata.
Esiste una correlazione
lineare fra calo percentuale di EtCO2 e di CO, con un rapporto di 1:2/1:3.
La capnografia
volumetrica, dove la concentrazione istantanea di CO2 espirata è plottata
con il volume corrente, permette di misurare importanti parametri quali
la produzione di CO2 (VCO2) e lo spazio morto alveolare con il solo impiego
di un capnografo e di un sensore di flusso sull’espirato.
L’anestesista rianimatore
dispone oggi di uno strumento in grado di valutare, in maniera del tutto
non invasiva (anche se per ora solo in corso di ventilazione meccanica a
volume corrente stabilmente costante) il flusso capillare polmonare
(PCBF, pulmonary capillary blood flow), vale a dire la quota di CO che partecipa
allo scambio respiratorio (dove CO = PCBF + frazione o quota di shunt, Qs/Qt).
La capnografia, applicabile
anche al paziente sveglio, in respiro autonomo, grazie a sensori nasali
ad occhialino, diviene pertanto strumento di indagine emodinamica, utile
a test dinamici di riempimento.
Sempre per restare
nell’ambito dell’interazione circolo respiro, non va dimenticato lo sviluppo
teorico di Perel sulla oscillazione delle onde pressorie – e in particolar
modo quella della PA sistemica – in corso di ventilazione meccanica. Il
Ddown fa parte di quegli strumenti di costo zero già presenti
nel monitoraggio corrente, e il cui unico requisito è la conoscenza dei
meccanismi fisiopatologici che ne sono alla base.
Il tempo di preiezione (PEP) è
un parametro noto da quasi un secolo alla tradizione cardiologica: si tratta
di un derivato della tecnica policardiografica che va sotto il nome di analisi
dei tempi sistolici. Il PEP misura – in msec – la durata della fase presistolica
necessaria al miocardio per sviluppare, all’interno della cavità ventricolare
e a valvole chiuse, la pressione utile a forzare l’apertura del comparto
di eiezione: valvola aortica per il ventricolo sin e valvola polmonare per
il comparto dx.
Il tempo di preiezione sorveglia
soprattutto la durata della contrazione isovolumetrica del miocardio (in
realtà comprende anche il tempo di attivazione elettrica del ventricolo).
La misura del PEP è classicamente
effettuata fra la Q del QRS (ECG) e il piede dell’onda sfigmica (inizio
dell’eiezione ventricolare). L’onda sfigmica di riferimento è il polso carotideo,
anche se la misura più precisa in assoluto è presa sul polso aortico.
Quando la lunghezza in diastole
delle fibre miocardiche è ridotta a causa di uno scarso riempimento (preload
o filling deficitario), la contrazione muscolare è meno efficace e il PEP
si allunga, a partire dal suo valore di normalità (a livello carotideo il
v.n. è di circa 110 msec).
La correzione del ridotto riempimento
(aumento di massa con fluidi, riduzione di PEEP, etc.) provoca al contrario
un accorciamento di PEP: è possibile affermare che un PEP sovranormale corrisponde
ad un riempimento diastolico scarso, anche se dirimente è la valutazione
dinamica mediante filling test.
Più difficile è identificare un
buon indicatore, pratico e di facile impiego, della contrattilità del miocardio.
L’Ecocardiografia bidimensionale
propone diversi parametri per la valutazione della forza contrattile del
muscolo cardiaco, di cui il più noto è la VCF (velocità di accorciamento
circonferenziale), computabile dalle circoferenze o dai diametri telediastolici
e telesistolici e dal tempo di eiezione. La velocità di accorciamento circonferenziale
delle fibre è un indice molto sensibile per la valutazione dello stato contrattile
del VS, relativamente indipendente dal precarico, ma molto influenzabile
dalle variazioni del postcarico. Valgono per questo parametro le stesse
considerazioni fatte per qualsiasi altro parametro ricavabile dalle metodiche
ecocardiografiche. D’altra parte – almeno in questo caso – le vere misure
di contrattilità sono veri e propri parametri da laboratorio di fisiologia,
come ad esempio il dP/dtmax dell’onda pressoria ventricolare
sinistra, ottenibile dal cateterismo cardiaco sinistro.
Un’alternativa interessante viene
offerta ancora una volta dai tempi sistolici attraverso l’indice di Weissler
(PEP/LVET). Se è vero che un tracciato poligrafico canonico prevede un’attrezzatura
specifica (poligrafo ad almeno 3 tracce, ECG, fonocardiogramma, trasduttore
di pressione esterno per il polso carotideo, velocità della carta a 50mm/sec),
un succedaneo accettabile ed estremamente pratico è la registrazione standard
(a 50mm/sec) del tracciato da monitor di ECG e PA. Su queste 2 tracce, con
buona precisione, sono misurabili i 3 eventi fondamentali per la misura
di PEP, LVET e indice di Weissler : onda Q, piede dell’onda pressoria ed
incisura dicrota. Il PEP/ET è un indicatore affidabile della contrattilità
miocardica, dipendente dagli eventi elettromeccanici e pertanto stabile
anche in presenza di regimi pressori meccanici nel torace.
Si tende pertanto a sacrificare
la conoscenza della contrattilità miocardica e a considerare la performance
in toto del cuore.
Il parametro di riferimento per
la performance è il lavoro sistolico del ventricolo sinistro (LVSW, left
ventricular systolic work). In analogia alla definizione del lavoro in fisica
(forza x spostamento), l’LVSW si esprime con il prodotto della pressione
(PAm, forza) e del flusso (CO, spostamento).
Pertanto ogni strumento in grado
di produrre un dato di flusso – o un suo derivato (flusso aortico, PCBF,
etc.) è utile per conoscere il livello della performance miocardica.
Pertanto, oltre ai già descritti
cateteri di Swan Ganz, COLD, DDG, NiCO2 ( lo strumento per la misura del
PCBF e di CO con la capnografia volumetrica), Eco2D (anch’esso in grado
di misurare la gettata cardiaca), vanno accennati altri dispositivi utili
allo studio della performance miocardica.
Si tratta della flussimetria aortica,
della cardioimpedenziografia e del PiCCO (metodica del puse contour).
La flussimetria aortica è una metodica
Doppler che misura il flusso ematico in aorta discendente, fornendo una
stima della CO globale, di cui misura (con precisione variabile) una frazione
di circa il 75%.
Le alterne fortune della flussimetria
aortica derivano dal fatto che una misura di flusso ottenuta da una sonda
Doppler richiede 2 valutazioni: la velocimetria Doppler in un punto e la
sezione trasversale del vaso nel punto di misura della velocità. I diversi
dispositivi che sono stati proposti dagli anni ’70 hanno più spesso risolto
il problema di una buona misura di velocità (delicata la posizione relativa
di sonda e vaso, da cui l’angolo d’incidenza di cui deve essere noto il
valore) rispetto alla misura della sezione del vaso (che nella maggior parte
degli strumenti è stata predeterminata su variabili di età, sesso, taglia
del soggetto, misure rediografiche). Sono state proposte di volta in volta
sonde percutanee al giugulo, tracheali montate sull’apice del tubo tracheale,
esofagee : il modello più attuale è senz’altro quello che accoppia la sonda
Doppler ad una eco M Mode in grado di individuare e tenere localizzate le
pareti prossimale e distale dell’aorta, consentendo in tal modo di centrare
il fascio Doppler nel modo più corretto.
La cardioimpedenza toracica (TEB,
Thoracic Electical Bioimpedance) è una metodica complessa che misura in
modo economico e del tutto non invasivo il volume sistolico (SV), analizzando
il passaggio di una corrente innocua attraverso il segmento toracico. Derivata
da studi aerospaziali degli anni ’50, la TEB si è sviluppata insieme ai
progressi del software di analisi della traccia impedenziografica (il DZ,
variazione nel tempo dell’impedenza, e il dZ/dt, variazione istantanea della
stessa) e dei sistemi di filtraggio.
Si rimanda ad altra sede l’analisi
teorica e applicativa di questa metodica, che molto discussa per la variabilità
dei risultati di correlazione con la termodiluizione, metodica di riferimento.
La diversità degli strumenti impiegati in epoche diverse, la variabilità
delle aree di applicazione (anestesia in chirurgie diverse, Terapia Intensiva
in patologie differenti, soggetti normali, gravide, adulti e bambini) rendono
difficoltose delle metanalisi decisive. La nostra personale esperienza è
di una metodica di straordinaria facilità e di vastissimo impiego, assolutamente
utile ad indirizzare un orientamento emodinamico, e in condizioni non estreme,
molto sovrapponibile a metodiche di riferimento.
Le motodiche di analisi del contorno
(pulse contour) del polso arterioso fanno anch’esse riferimento a studi
datanti agli anni ’30 e ai successivi sviluppi teoretici. La relazione fra
area sottesa al profilo sistolico dello sfigmogramma (piede del polso, onda
dicrota) e volume sistolico viene sfruttata da moderne metodiche di analisi
battito battito e sofisticate equazioni di correlazione. Erede del noto
Finapres, il più recente strumento che analizza il pulse contour è il PiCCO,
strumento di misura derivato dalla teoria del COLD (catetere arterioso con
termodiluitore posizionato in arteria femorale od ascellare, misura di CO
e ITBV).
La valutazione dei flussi distrettuali
fa parte di un’ottica moderna di valutazione emodinamica, nata all’inizio
degli anni ’80 negli Stati Uniti con la diffusione del cateterismo dell’arteria
polmonare, e grazie all’attenzione data al metabolismo dell’O2, in termini
di messa a disposizione dei tessuti, di consumo, di quota di estrazione
e di contenuto nel sangue venoso misto.
L’attenzione si è spostata dai
determinanti centrali del circolo (gettata cardiaca e suo controllo, resistenze
sistemiche, efficienza miocardica, pressione sistemica) alla reazione periferica
dei tessuti e al loro metabolismo, da un lato conseguenza ma anche servocontrollo
del sistema in toto.
Se la diuresi è una comoda sentinella
della perfusione renale e il sensorio del SNC, la perfusione ed ossigenazione
miocardica possono essere sorvegliati dal tratto ST dell’ ECG. Si tratta
comunque di organi con un ampio ambito di adattabilità alle condizioni di
calo di flusso, per l’importanza dei loro meccanismi di autoregolazione.
I gravi problemi nati dalla difficoltosa
esplorazione della perfusione splancnica, a fegato, intestino, pancreas,
milza, stomaco – problemi manifesti per ischemie occulte e secondario aumento
della permeabilità mucosa a batteri, tossine, virus – hanno spinto al perfezionamento
di tecniche indirette di monitoraggio clinico, che si sostituissero alle
metodiche di ricerca come la Doppler flussimetria o la capillaroscopia in
situ.
Negli anni ’90 si affermata nell’impiego
clinico, per la sua semplicità operativa e per la stabilità dei risultati,
la tonometria gastrica.
Una sonda nasogastrica, munita
di palloncino permeabile ai gas, viene posizionata nello stomaco a contatto
con la mucosa gastrica: lo strumento collegato si incarica di riempire a
intervalli prefissati il palloncino con aria ambiente: nel contesto dello
stomaco avviene un’equilibrazione fra la CO2 gastrica (intramucosa, PrCO2
o PiCO2) e l’aria del palloncino (CO2 free) : è così possibile, a livello
del capnografo dello strumento, misurare la PrCO2 (e per indotto il pHi,
pH intramucoso gastrico). I due dati hanno un’amplissima letteratura di
riferimento, derivanti da studi sull’animale e sull’uomo: va detto che le
computazioni, in particolare del pHi, necessitano di assunti che devono
essere conosciuti per una verifica di attualità, e di condizioni ottimali
di misura (ad esempio è scorretto misurare i dati in presenza di nutrizione
enterale in atto, etc.).
In ogni caso i due dati e i loro
differenziali rispetto ai corrispettivi arteriosi (paCO2 e pHa) permettono
moltissime deduzioni sul tipo di difetto di perfusione, sul tipo di ischemia
e sul metabolismo locale.