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INFEZIONI PERINATALI

D. ARDUINI, F. GIANNINI, P.G.PAESANO
Cinica Ginecologica ed Ostetrica Università di Roma "Tor Vergata"

Introduzione

L’evenienza di una malattia infettiva in gravidanza comporta un aumento dell’incidenza di morbosità e mortalità a carico sia della madre che del prodotto del concepimento. Sono note e già trattate in altri capitoli le complicanze più frequenti delle infezioni in gravidanza con tutte le relative conseguenze.

La trasmissione dell’infezione al feto è particolarmente grave in quanto le difese immunitarie, ancora in via di sviluppo, sono poco efficaci; ciò spiega l’elevata incidenza di meningite, polmonite, sepsi.

Lo scopo di questo capitolo è di focalizzare l’attenzione sulle forme infettive interessanti il feto in epoca immediatamente precedente e durante il parto.

Patogeni virali

HIV

Le modalità di contagio verticale, ovvero mediante passaggio transplacentare, non sono ancora sufficientemente note. E' vero che il virus è stato isolato direttamente dai tessuti placentari, dal liquido amniotico e dall’embrione; tuttavia, la stima del tasso di trasmissione transplacentare è tuttora resa incerta dalle difficoltà di effettuare diagnosi di infezione nel neonato.

Il tasso di trasmissione verticale viene attualmente stimato essere al di sotto del 65% (1) e dipende in larga misura dalle modalità di definizione dell’infezione nel neonato, dalle modalità di selezione della popolazione di madri infette e dalla durata del follow-up neonatale. Il tasso di trasmissione transplacentare viene comunque influenzato da molteplici fattori, quali lo stadio di avanzamento della patologia, l’eventualità di una progressione ad AIDS conclamata nel corso della gravidanza, l’infezione acuta, gli elevati livelli di HIV-1 in colture virali e la riduzione della conta di linfociti CD4+. Attualmente tuttavia non è possibile predire l’eventualità di trasmissione del virus nei singoli casi.

Anche l’allattamento è noto come un possibile mezzo di contagio. E' possibile isolare il virus dal latte materno e due studi prospettici, effettuati in Ruanda ed in Australia, hanno descritto 26 pazienti nelle quali la sieroconversione era avvenuta durante l’allattamento, con 11 neonati infettati attraverso l’assunzione di latte materno (2,3). Sembrerebbe quindi opportuno, vista l’esistenza di sostituti del latte materno, che le donne di cui è nota la sieropositività evitino l’allattamento (4).

E' stata dimostrata la presenza dell’HIV nelle secrezioni vaginali e cervicali di donne infette. Inoltre, uno studio effettuato su 22 coppie di gemelli nati da madri infette da HIV-1 tenderebbe a confermare l’ipotesi che il feto possa contrarre un’infezione in corso di travaglio di parto, a causa del contatto con le secrezioni vaginali infette (5). In tale studio, infatti, il primo nato mostra una probabilità quattro volte superiore di contrarre l’infezione rispetto al secondo nato.

Diversi studi hanno mostrato che il tasso di trasmissione è abbastanza indipendente dalle modalità con le quali si svolge il parto, sia esso per vie naturali o cesareo (6). Comunque, il rischio di trasmissione dell’infezione durante il parto può essere ridotto, almeno in teoria, limitando i contatti diretti tra madre e feto, ovvero procrastinando la rottura delle membrane, evitando di posizionare elettrodi e limitando i prelievi ematici dallo scalpo fetale. Sfortunatamente, tali pazienti sono spesso a rischio di significative complicanze fetali, e per tale motivo spesso è richiesto un monitoraggio intensivo ed invasivo durante il travaglio.

Virus Varicella-Zoster

Il neonato può essere infettato dal virus Varicella-Zoster in utero, senza tuttavia sviluppare i segni tipici di una sindrome da varicella congenita o dopo la nascita. I neonati esposti a infezione da virus Varicella-Zoster durante la seconda metà della gravidanza e fino a 21 giorni dal parto corrono un rischio minimo di manifestare la sindrome da varicella congenita, ma possono sviluppare un herpes zoster nell’età infantile.

I neonati esposti al virus da 20 a 6 giorni prima del parto possono mostrare solo un movimento anticorpale o sintomi minimi di varicella alla nascita e raramente sviluppano una malattia di grave entità, a causa della formazione e del passaggio transplacentare degli anticorpi materni con conseguente effetto protettivo.

I neonati le cui madri hanno sviluppato la varicella da 5 giorni prima a 2 giorni dopo la nascita sono invece ad elevato rischio di gravi sequele dato che manca proprio l’effetto protettivo degli anticorpi materni, a causa del tempo troppo breve intercorso tra il contagio materno ed il parto. In queste condizioni i neonati hanno il 17% di probabilità di manifestare la sindrome da varicella congenita, con una mortalità per i casi non trattati del 31% (7). In questi casi è quindi opportuna l’immediata somministrazione al neonato di immunoglobuline specifiche anti virus Varicella-Zoster e la terapia con chemioterapici antivirali può contribuire a migliorare il decorso clinico della malattia (8).

E' stata descritta l’eventualità di insorgenza di difetti congeniti fetali in gravidanze complicate da herpes zoster materno. Comunque, è incerto che si verifichi una significativa viremia a causa della presenza di anticorpi specifici nel sangue materno e quindi è improbabile che l’herpes zoster a carico della madre sia responsabile di un incremento delle anomalie a carico del feto (9).

Herpes Simplex

L’infezione primaria che avvenga nel III trimestre sembra aumentare il rischio di trasmettere la malattia al neonato nel corso del parto (10), in quanto l’esposizione al virus del feto avviene principalmente al momento del passaggio nel canale del parto, tanto che viene attualmente raccomandato di espletare il parto mediante taglio cesareo prima o appena dopo la rottura delle membrane in caso di presenza di lesioni attive da HSV (11).

Gli originali protocolli di trattamento prevedevano lo screening settimanale delle pazienti con anamnesi positiva per HSV a partire da 36 settimane di gestazione, con orientamento preferenziale al parto mediante taglio cesareo delle pazienti con colture positive o lesioni sospette.

Malgrado ciò, la maggior parte dei neonati affetti da infezione da HSV sono partoriti da donne anamnesticamente negative per precedenti infezioni genitali da HSV (8,12,13). Inoltre, poiché la durata del periodo di diffusione asintomatica del virus è di solito limitata a pochi giorni, l’effettuazione delle colture con cadenza settimanale in assenza di sintomatologia non permette di riscontrare efficacemente tale eliminazione virale al momento del parto (12,14). Infine, il tasso di positività dell’infezione neonatale da HSV in presenza di eliminazione virale asintomatica da parte della madre è considerevolmente inferiore a quanto accade in caso di infezione primaria, attestandosi al di sotto del 5% vs il 50% di contagi (15).

Attualmente si raccomanda, quindi, in quelle pazienti con lesioni da HSV presso il termine ma fuori travaglio e in assenza di rottura di membrane, di effettuare colture virali ogni 3-5 giorni per assicurarsi dell’assenza di eliminazione del virus al momento del parto e permettere quindi il parto vaginale (11).

Epatite

Sono attualmente noti cinque tipi di virus dell’epatite, di cui il più importante ai fini della problematica perinatale è il virus dell’epatite B.

Epatite A. Il virus dell’epatite A è un virus ad RNA responsabile di circa il 20% dei casi di epatite acuta virale, non sembra aumentare il rischio di esito sfavorevole della gravidanza e non è stata a tutt’oggi documentata la possibilità che avvenga la trasmissione verticale in gravidanza. Nonostante ciò viene raccomandata la somministrazione di immunoglobuline al neonato in caso di nascita a meno di 2 settimane dall’insorgenza di epatite A materna.

Epatite B. Il virus dell’epatite B è, tra i virus che causano l’epatite, quello che presenta le maggiori implicazioni riguardo la gravidanza.

L’infezione acuta da virus dell’epatite B complica circa 1-2 gravidanze su 1000, mentre l’infezione cronica interessa circa 5-15 gravidanze su 1000.

In caso di infezione materna nel III trimestre si verifica un passaggio del virus al prodotto del concepimento nel 60% dei casi circa; il marker maggiormente predittivo di trasmissione dell’infezione è l’antigene HBeAg, la cui presenza è associata ad un tasso di trasmissione dell’80%-90% (16). Nei portatori cronici la presenza dell’anticorpo anti Hbe è associata ad un tasso di trasmissione del 10%-20%.

La maggior parte delle osservazioni sono concordi nell’attribuire un importante ruolo nella trasmissione verticale del virus al passaggio del feto nel canale del parto, con conseguente contatto con le secrezioni ed il sangue materno infetto e successiva sieroconversione dei neonati sieronegativi alla nascita all’età di 2-4 mesi.

La maggior parte dei casi di infezione da virus dell’epatite B nell’età neonatale ed infantile decorrono in maniera asintomatica, anche se sono descritti casi di infezione fulminante. Comunque, la maggior parte dei neonati infetti diventerà portatore cronico del virus, con un’elevata incidenza di cirrosi, epatite cronica attiva, carcinoma epatocellulare primitivo (16,17).

Epatite C. L’infezione acuta da epatite C avviene dopo un periodo di incubazione di 30-60 giorni e l’infezione è asintomatica nel 75% dei pazienti. Allo stato attuale delle conoscenze il rischio di trasmissione verticale aumenta in caso di insorgenza dell’infezione nel III trimestre o di concomitante infezione da HIV. E' stato suggerito l’utilizzo delle immunoglobuline a scopo profilattico nel neonato di madre infetta.

Epatite E. L’infezione da epatite E in gravidanza è stata associata ad un incremento della mortalità materna e delle complicanze della gravidanza, comprese il parto prematuro e la natimortalità.

Raccomandazioni per l’immunizzazione

La prevenzione dell’epatite neonatale dipende in larga misura dalla precoce somministrazione delle immunoglobuline e del vaccino (18). La somministrazione delle sole immunoglobuline specifiche permette di ridurre l’incidenza di infezione dal 94% al 75%, ed il tasso di portatori cronici dal 91% al 22% (19). L’utilizzo in combinazione del vaccino anti epatite B permette di ridurre l’incidenza dello stato di portatore cronico allo 0-14% (20).

La maggior parte delle autorità sanitarie consigliano di somministrare le immunoglobuline specifiche entro 12 ore dal parto ed il vaccino nel corso della prima settimana di vita (21). E' opportuno ricordare che il SSN italiano prevede l’effettuazione della vaccinazione anti epatite B a tutti i neonati entro i 15 mesi di vita.

La vaccinazione anti epatite B è altresì richiesta in caso di professioni a rischio di trasmissione virale. La gravidanza non costituisce una controindicazione né alla vaccinazione né alla somministrazione di immunoglobuline specifiche, in categorie professionali a rischio di infezione.

Patogeni di origine batterica

Infezione intraamniotica

L’1% delle gravidanze sono affette da una infezione intraamniotica clinicamente evidente con un incremento della mortalità materna e della morbosità e mortalità perinatale.

Fisiopatologia. Le infezioni virali e la Listeria monocytogenes, a carico della madre, si diffondono al feto ed al liquido amniotico soprattutto per via ematogena, attraverso la placenta ed il cordone ombelicale (22).

La via di trasmissione che viene più frequentemente utilizzata in caso di infezione intraamniotica, frequentemente polimicrobica con coinvolgimento di batteri aerobi ed anaerobi, rimane comunque quella ascendente.

Gibbs et al. (23) hanno dimostrato che i microrganismi più frequentemente responsabili comprendono i Bacteroides (25%), lo streptococco di gruppo B (12%), altre specie di streptococchi (13%), E. coli (10%) ed altri batteri Gram negativi.

Terapia. Le terapie con antibiotici dal momento della diagnosi di infezione intraamniotica fino all’imminenza del parto sono ancora discusse; alcuni Autori preferiscono attendere i risultati degli esami colturali, altri invece sono dell’idea di iniziare subito una terapia a largo spettro come l’associazione di ampicillina ed un aminoglicoside. Quando si prevede che il parto avvenga entro un’ora è consigliabile procrastinare la somministrazione di antibiotici in modo da dare la possibilità di effettuare adeguate colture sul neonato.

In caso di taglio cesareo, in cui le possibili complicazioni dell’infezione materna sono maggiormente frequenti (endometrite > 30%, sepsi 2%-4%, ascessi pelvici e tromboflebite pelvica settica), è opportuno aggiungere clindamicina o altri chemioterapici con azione anche sugli anaerobi agli schemi terapeutici, per ridurre il rischio di fallimento della terapia antibiotica nel periodo postoperatorio (24).

Infezione da streptococchi di gruppo B (SGB)

L’infezione materna da SGB costituisce una causa importante di morbosità e mortalità sia nella gravida, con quadri di amnionite con PROM e/o parto pretermine ed endometrite postpartum, sia nel neonato, nel quale può dare luogo a quadri di sepsi, polmonite e meningite.

Epidemiologia e trasmissione. La colonizzazione vaginale asintomatica da SGB si verifica nell’8-28% delle gravidanze (25). La prevalenza di colonizzazione vaginale varia a seconda dell’età (aumenta con l’avanzare dell’età), della razza (maggiore nelle donne di colore), dell’area geografica e della parità. Poiché la colonizzazione è intermittente, la coltura nel II trimestre non è predittiva dello stato colturale al momento del parto; attualmente viene consigliato di effettuare almeno una coltura vaginale per la ricerca dello SGB presso il termine di gravidanza, in modo da sottoporre all’opportuna terapia le pazienti che si dimostrassero infette dal batterio.

La trasmissione verticale si può verificare, in utero, sia a membrane rotte che a membrane intatte, oppure si può verificare al momento del passaggio attraverso il canale da parto infetto. Il rischio di trasmissione varia dal 42% al 71% a seconda delle statistiche (25,26).

Circa il 70% dei bambini nati da madri con colture vaginali positive per SGB diventano portatori sani, ma solo l’1% avrà un’infezione sintomatica. Si riconoscono due quadri clinici: ad insorgenza precoce, in cui i sintomi sono presenti già alla nascita (circa 2 su 1.000 nati) o che compaiono subito dopo il parto o entro 7 giorni dallo stesso, e ad insorgenza tardiva con sintomatologia che compare dopo più di 7 giorni dal parto (circa 2 su 1.000 nati) (27).

Fattori di rischio per un’infezione sintomatica sono la prematurità e la rottura prolungata delle membrane, nei quali casi il rischio aumenta di 10-15 volte nei nati pretermine (27,28) che peraltro sviluppano forme più aggressive della malattia stessa, con una mortalità del 28%, rispetto ai soggetti sintomatici nati a termine che hanno una mortalità del 2% (29).

Infezione neonatale. Anche se per definizione l’infezione neonatale precoce si può verificare entro 7 giorni dal parto, di solito essa insorge nel giro di 48 ore dal parto, comunque all’incirca la metà di queste infezioni sono sintomatiche già alla nascita (27). Le tre presentazioni cliniche più importanti sono: setticemia (batteriemia e segni clinici di sepsi), polmonite (presente nel 40% dei casi) e meningite (presente in circa il 30% dei casi). La forma fulminante si presenta con shock, complicato da distress respiratorio e spesso causa la morte del neonato (12-25% nelle casistiche più recenti) (27-29).

Le forme ad insorgenza tardiva iniziano subdolamente dopo 1-12 settimane dal parto. La maggior parte di questi bambini sviluppano meningite (85%) con un tasso di mortalità di circa il 15%, ma con un 50% di bambini che hanno sequele a lungo termine (30).

Infezione materna. Nell’81% dei casi di colonizzazione da SGB associata a PROM è presente una evidenza istologica di corioamnionite. L’endometrite postpartum, caratterizzata da febbre alta a picchi che compare entro le 12 ore dal parto, tachicardia, brividi e rammollamento uterino si verifica nel 15-25% delle pazienti che hanno avuto una PROM prolungata nel tempo, in particolare se il parto è stato espletato tramite taglio cesareo (31,32).

La diagnosi di infezione intrapartum o postpartum deve indurre ad effettuare una copertura con antibiotici ad ampio spettro, ad esempio con ampicillina, o con cefalosporine di seconda e terza generazione, eritromicina e clindamicina.

Prevenzione. Poiché l’infezione da SGB è una patologia importante, il problema della prevenzione si pone come mezzo per bloccare la trasmissione verticale dell’infezione stessa, tramite la somministrazione di antibiotici. La questione che si è cercato di risolvere è quando, come e a chi (madre o bambino) somministrare il farmaco (33,34).

I tentativi di eradicare gli SGB dall’ambiente vaginale nel corso del III trimestre si sono dimostrati infruttuosi (35). Infatti, anche se si riesce ad eliminare il microrganismo dalla vagina, si verifica, spesso in breve tempo, una ricolonizzazione.

Ritardare il trattamento verso la 38a settimana è sicuramente più efficace, ma si perde il gruppo a maggior rischio costituito dai neonati pretermine (28). Alcuni Autori hanno suggerito la coltura vaginale a metà del III trimestre di gravidanza e l’uso di antibiotici intrapartum qualora la gravidanza fosse complicata da parto pretermine, PROM o iperpiressia in travaglio (27).

Un ulteriore approccio fattibile al problema potrebbe consistere nella somministrazione, ai neonati a rischio, di una singola dose di penicillina subito dopo la nascita, cosa che potrebbe prevenire la congiuntivite gonococcica e ridurre l’incidenza di infezioni da SGB (36). Il maggior inconveniente di questo approccio sta nel fatto che la maggior parte dei neonati che sviluppano le forme gravi (sepsi) ad insorgenza precoce sono batteremici già alla nascita ed una singola dose di penicillina è una terapia inadeguata e potrebbe mascherare i sintomi precoci.

Sono attualmente in corso delle sperimentazioni con vaccini materni contro l’antigene di membrana polisaccaridico o contro un antigene universale che rappresenta i sottotipi di SGB, per tentare di indurre il trasferimento di anticorpi attraverso la placenta allo scopo di ridurre le probabilità di infezione fetale (37).

Polmonite neonatale congenita

La polmonite è la più frequente forma di infezione neonatale. Il neonato può contrarre l’infezione polmonare quando è ancora in utero, ossia per via transplacentare, mediante aspirazione di liquido amniotico contaminato prima del parto o al momento del passaggio nel canale del parto, mediante aspirazione di materiali infetti (sangue, ecc.) durante o appena dopo il parto, mediante contagio per via respiratoria da personale o equipaggiamenti infetti, per via ematogena, in corso di sepsi.

Gli agenti microbici maggiormente coinvolti nella polmonite neonatale congenita sono in primo luogo lo streptococco di gruppo B ed in misura minore ma rilevante l’E. coli, l’H. influenzae, il T. pallidum, stafilococchi, S. pneumoniae e la Listeria monocytogenes.

Si parla di infezione polmonare congenita in particolare quando la contaminazione batterica ha luogo in utero o al momento del parto. Tale entità clinica ha dignità nosografica in quanto i neonati con infezione congenita spesso muoiono in utero o versano in gravi condizioni alla nascita, presentando soprattutto difficoltà respiratorie da polmonite lobare franca.

In caso di contaminazione per aspirazione di materiale infetto durante o dopo il parto si verifica più frequentemente un quadro di broncopolmonite, con emorragie, infiammazione pleurica, congestione vascolare e necrosi. In questo caso i neonati possono presentare segni sistemici, quali febbre, inappetenza, letargia.

I segni di compromissione respiratoria possono verificarsi precocemente o tardivamente e consistono in tosse, retrazione sternale e costale, alitamento delle pinne nasali, tachipnea o respiro irregolare, riduzione dei rumori respiratori e cianosi.

La radiografia del torace è necessaria per supportare la diagnosi, ma in alcuni pazienti non è possibile riscontrare segni radiologici immediatamente dopo la comparsa dei sintomi, ma solo 24-72 ore più tardi. E' ben nota, comunque, la difficoltà nel porre diagnosi di polmonite batterica nel neonato mediante una radiografia del torace, cosa che ha comportato l’esteso utilizzo di antibiotici a scopo profilattico in neonati con distress respiratorio, previo prelievo degli appropriati tamponi per l’esatta diagnosi.

L’esito della polmonite acquisita in epoca prenatale è variabile. I casi clinicamente più gravi muoiono in utero (non se ne conosce l’esatta incidenza) o entro i primi due giorni di vita nonostante le cure adeguate e la somministrazione dell’appropriata terapia antibiotica. La mortalità della polmonite che si manifesta in età neonatale varia, indipendentemente dal momento del contagio ed a seconda dei centri e dei germi implicati, dal 15% al 50%.

Sepsi neonatale precoce

Della sepsi neonatale si possono riconoscere due tipi, differenziabili in base all’epoca di insorgenza precoce o tardiva a seconda dell’inizio dei sintomi entro i primi 4 giorni di vita o successivamente ad essi.

Le modalità di contagio sono sovrapponibili a quanto visto per la polmonite neonatale. In particolare, nel caso di sepsi ad insorgenza precoce è piuttosto frequente che l’infezione venga trasmessa verticalmente dalla madre al feto durante il parto o precedentemente, in particolare in caso di rottura delle membrane (spontanea o provocata) prolungata per oltre 24 ore prima del parto. In questa condizione, come già visto, è molto frequente la contaminazione batterica dell’ambiente intrauterino per via ascendente, dall’ambiente vaginale, con facile trasmissione al feto dell’infezione anche tramite aspirazione, per altri versi fisiologica, del liquido amniotico da parte del feto stesso. L’infezione può tuttavia essere contratta anche per via ematogena attraverso i vasi fetali placentari e del funicolo ancora prima che si sia instaurata un’infezione endoamniotica.

In ogni caso, è da tenere presente la possibilità che si verifichi una polmonite neonatale, con successiva sepsi, anche in assenza di prolungata rottura di membrane o di qualsivoglia sintomo materno, dato che in caso di parto per via vaginale si verifica sempre la colonizzazione batterica del neonato a seguito del passaggio dello stesso attraverso il canale del parto.

I fattori di rischio associati ad un’incidenza significativamente elevata di sepsi neonatale ad insorgenza precoce sono:

1) presenza di infezione materna, anche incompletamente trattata, a carico delle vie urinarie, della vagina, della cervice, o infezione generalizzata materna, o febbre materna senza evidenza di infezione focale;
2) rottura delle membrane senza altre complicazioni, prolungata oltre le 24 ore (1% di infezioni neonatali);
3) corionamnionite e rottura delle membrane prolungata;
4) prematurità;
5) utilizzo di tecniche di monitoraggio fetale invasivo (elettrocardiogramma fetale dallo scalpo);
6) cefaloematoma;
7) persistente tachicardia fetale in travaglio;
8) asfissia perinatale o indice di Apgar inferiore a 6 a cinque minuti in associazione a prolungata rottura delle membrane.

I neonati che vanno incontro a sepsi ad insorgenza precoce spesso mostrano almeno un fattore di rischio tra quelli appena elencati.

Gli agenti microbici maggiormente coinvolti nella sepsi ad insorgenza precoce sono essenzialmente analoghi a quanto visto per la polmonite, ovvero in primo luogo lo streptococco di gruppo B, ed in misura minore ma rilevante l’E. coli, la Klebsiella, l’Enterococco di gruppo D e la Listeria monocytogenes.

In termini quoad vitam, nella sepsi neonatale ad insorgenza precoce si identifica una condizione patologica cui si accompagna un elevato tasso di mortalità, variabile dal 15% fino al 50% nel caso di sepsi fulminante. Come già detto, per lo più si tratta di morti che avvengono in utero oppure entro due giorni di vita nonostante ed indipendentemente dal supporto farmacologico effettuato.

Gonorrea

La congiuntivite gonococcica, che si manifesta entro 4 giorni dal parto con secrezioni purulente dagli occhi del neonato, è stata descritta sin dal 1800. L’uso profilattico di collirio al nitrato di argento e pomate a base di eritromicina o tetraciclina hanno ridotto tale patologia dal 10% allo 0,5% (38). L’importanza della prevenzione di questa malattia sta nella sua rapida progressione nel neonato, con frequente insorgenza di un’ulcerazione corneale e conseguente cecità.

Sifilide

Negli ultimi tempi si è assistito ad una certa recrudescenza di tale infezione nelle sue forme primaria e secondaria, che ha peraltro causato un analogo riscontro in campo fetale.

Sifilide congenita. L’infezione può causare parto pretermine, morte intrauterina, infezione congenita e/o morte neonatale.

La letteratura più datata vuole che l’infezione si verifichi virtualmente in tutti i bambini nati da madre con sifilide primaria e secondaria, anche se solo la metà di tali bambini è sintomatica. La frequenza di infezione va dal 40% nei soggetti in fase latente precoce (< 2 anni) al 6%-13% nei soggetti in fase latente tardiva. Anche se la diagnosi viene effettuata in gravidanza e alla madre si somministrano antibiotici, l’11% dei bambini mostra effetti sul sistema nervoso centrale.

Le manifestazioni cliniche che compaiono nei primi due anni di vita vengono inscritte nella costellazione di sintomi della sifilide congenita precoce, quelle che compaiono dopo il secondo anno di vita si classificano invece come sifilide congenita tardiva.

La sifilide congenita precoce è associata ad anemia emolitica, epatosplenomegalia ed eruzioni cutanee bollose, oltre a periostite, osteocondrite e meningite.

Le stimmate della forma tardiva sono periostite delle ossa frontale e parietale, denti di Hutchinson, molari a forma di mora, naso a sella, tibia a sciabola, sordità da coinvolgimento del nervo acustico, ragadi, anomalie del sistema nervoso centrale e Clutton joint (39).

Prevenzione. Indipendentemente dall’età gestazionale le pazienti dovrebbero essere trattate immediatamente con penicillina nel modo più adeguato a seconda dello stadio della sifilide, alla stessa stregua delle pazienti non gravide (40). Le pazienti con anamnesi positiva per allergia alla penicilina possono essere trattate con tale farmaco se il test cutaneo di sensibilizzazione risulta negativo o dopo desensibilizzazione alla penicillina stessa (41). Per quanto concerne l’eritromicina, nonostante essa abbia un effetto accettabile nel trattamento sugli adulti, non passa la placenta e quindi non è in grado di trattare l’infezione fetale con la stessa efficacia della penicillina.

Il follow-up materno prevede l’effettuazione dei test sierologici aspecifici mensilmente. Un incremento o una mancata discesa dei titoli nel giro di tre mesi costituiscono un’indicazione al trattamento.

Per i neonati asintomatici alla nascita e la cui madre era stata adeguatamente trattata non è teoricamente necessaria alcuna terapia antibiotica, ma solo un follow-up ravvicinato; nel caso, relativamente frequente, in cui tale controllo assiduo non possa essere assicurato si raccomanda la somministrazione di una singola dose di benzatilpenicillina per via intramuscolare.

Se il neonato ha dei segni o sintomi di sifilide in fase attiva o se non si può escludere una neurosifilide, la terapia correntemente accettata consiste in un ciclo di 10 giorni di somministrazioni di penicillina per via intramuscolare o endovenosa (42).

Chlamydia

I bambini nati con parto vaginale da donne con infezione endocervicale da Chlamydia hanno il 25-60% delle probabilità di infettarsi a loro volta (43-45). Raramente è stata isolata la Chlamydia da bambini nati con taglio cesareo da madri infette, nonostante le membrane fossero intatte.

Da tempo è stata descritta la congiuntivite neonatale acuta quale conseguenza di esposizione perinatale del neonato alla C. trachomatis. Questo microrganismo è ad oggi la causa principale di congiuntivite neonatale (45). Dal 17,5% al 46,5% dei bambini che si infettano al momento del parto sviluppano questa forma di congiuntivite (43,45).

Il 14%-23% dei bambini nati attraverso un canale da parto infetto da Chlamydia sviluppano inoltre una forma di polmonite (43-45). I bambini fra 4 e 11 settimane di vita presentano segni di congestione ed ostruzione nasale, lieve rinorrea, febbre, tachipnea e tosse secca. Il radiogramma del torace rivelava polmoni iperventilati, con infiltrati interstiziali bilaterali. Il 50% circa dei bambini affetti da polmonite da Chlamydia mostrano in concomitanza una congiuntivite o una storia positiva per tale patologia.

Il recupero avviene, previa terapia orale con eritromicina, nella maggior parte dei casi (45).

Date le possibili conseguenze, attualmente è preferibile sottoporre i neonati a profilassi, mediante instillazione congiuntivale di preparati a base di nitrato d’argento, tetraciclina 1% o eritromicina 0,5%, la cui efficacia è risultata paragonabile in uno studio effettuato su soggetti a rischio (incidenza di congiuntivite del 20%, 11% e 14% rispettivamente) (38).