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LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DEI PAZIENTI CON MALATTIA DA REFLUSSO GASTRO-ESOFAGEO

Approvata dalla Commissione Trisocietaria AIGO-SIED-SIGE il 30.09.1999

NOTIZIE CLINICHE
Per malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) si intende un complesso di sintomi aventi come determinante patogenetico il fenomeno del reflusso, cioè il passaggio di una parte del contenuto gastrico in esofago, con conseguente azione irritativa sulla sua mucosa . Il quadro clinico della MRGE è costituito da sintomi tipici altamente specifici (la pirosi retrosternale ed il rigurgito) e da sintomi cosiddetti atipici che possano riguardare sia l’esofago (dolore toracico non-cardiaco) che il distretto oro-faringeo (disfagia, raucedine) e le vie aeree (tosse secca, crisi asmatiche). I sintomi atipici possano essere dovuti sia ad un meccanismo diretto, di contatto, per risalita prossimale del materiale refluito, che ad un meccanismo indiretto, dovuto a riflessi originantesi a livello dell’esofago distale. Si calcola che essi possano essere presenti nel 20-30% dei pazienti con MRGE. Le manifestazioni cliniche tipiche, ed in particolare la pirosi, sono piuttosto frequenti, con una prevalenza che va dal 5-7% nella popolazione generale fino a più del 30% in gruppi selezionati di pazienti, con altri sintomi a carico dell’apparato digerente.
La MRGE peraltro può essere caratterizzata, in oltre il 50% dei casi, dalla presenza di lesioni flogistico-erosive a carico della mucosa dell’esofago distale. L’esofagite da reflusso, che rappresenta la complicanza anatomica della malattia, può avere una severità variabile da forme lievi, con presenza di piccole erosioni isolate, a forme anche molto severe con ampie ulcerazioni, stenosi cicatriziali ed aree di metaplasia. Essa costituisce una vera e propria patologia peptica spesso gravata da problemi di gestione terapeutica di non facile soluzione.
Una recente inchiesta multicentrica italiana condotta su un ampio campione di pazienti (n. 171.832) sottoposti ad esame endoscopico routinario delle prime vie digestive ha evidenziato una prevalenza media dell’esofagite pari all’8.6%. Tale valore risulta del tutto simile a quello dell’ulcera duodenale (8.5%) e di gran lunga maggiore rispetto a quello dell’ulcera gastrica (3.5%).

STRATEGIA DIAGNOSTICA
Tecniche diagnostiche utilizzate nella MRGE

Metodica

Scopo

Rx grafia T.D. prime vie

valutazione decorso e calibro dell’esofago;
studio della giunzione esofago-gastrica (ernia jatale)

E.G.D.S

valutazione della mucosa esofagea (esofagite, Barrett,ecc.)

pH-metria esofagea 24 ore

valutazione del reflusso acido gastro-esofageo ( durata esposizione all’acido, correlazione con i sintomi )

Manometria esofagea

valutazione attività funzionale dell’esofago ( capacità peristaltica, tono basale dello sfintere esofageo inferiore)


Le metodiche elencate forniscono informazioni complementari con diversa valenza diagnostica. La misurazione diretta del reflusso ( acido ) può ottenersi solo con la pH-metria prolungata, che rappresenta anche l’unico metodo in grado di fornire indicazioni sul nesso causale esistente tra reflusso e sintomi del paziente. L’esame endoscopico risulta invece insostituibile per accertare l’esistenza e la severità dell’esofagite e delle sue complicanze.
In un paziente con sintomi suggestivi di MRGE è necessario attuare una strategia diagnostica che ha due scopi fondamentali :

ACCERTARE LA PRESENZA DI ESOFAGITE
Il primo obiettivo risulta molto importante perchè consente di definire in maniera corretta sia l’approccio terapeutico che il monitoraggio successivo del paziente. Esso non può prescindere da una valutazione morfologico-endoscopica della mucosa dell’esofago, dal momento che il quadro clinico, specie se atipico, non consente di stabilire l’esistenza e la severità delle lesioni anatomiche.
D’altro canto l’esame endoscopico rappresenta un accertamento invasivo, gravato da costi gestionali e spesso non disponibile in tempi rapidi. Ne consegue l’opportunità di individuare alcune categorie di pazienti nei quali esso possa essere per lo meno rinviato ed in cui sia ragionevole iniziare il trattamento anche in assenza di indagini.

INDICAZIONI DELLA EGDS NELLA MRGE

 L'endoscopia nella MRGE è generalmente indicata:

  1. Nei pazienti con sintomi tipici ma associati a sintomi di allarme quali la disfagia, il calo ponderale, l'ematemesi e/o la melena ( per escludere ulcere o stenosi e neoplasie esofagee).
  2. Nei pazienti con sintomi atipici (dolore toracico, sintomi respiratori od oro-faringei) dopo valutazione specialistica (cardiologica, otorinolaringologica, pneumologica).
  3. Nei pazienti che presentano sintomi tipici persistenti durante il trattamento o che recidivano precocemente alla sospensione dello stesso, se non era stata effettuata prima dell’inizio del trattamento
  4. Nei pazienti con sintomi di recente insorgenza ed età > 45 anni.

  5.  Nel follow up in caso di recidive con cambiamento di sintomatologia e/o comparsa di sintomi d’allarme.

  6. Nei pazienti con sintomi di lunga durata (> 5 anni), una sola volta, per escludere un esofago di Barrett

  7. Nel follow-up di pazienti con esofago di Barrett (vedi capitolo su Barrett)

L’endoscopia generalmente non è indicata :

  1. nei pazienti con sintomi tipici, di età inferiore a 45 anni, che rispondono al trattamento
  2. nel follow-up in assenza di variazioni di sintomi e/o di esofago di Barrett

I. CRITERI PER LA DIAGNOSI ENDOSCOPICA DI ESOFAGITE
Il requisito minimo perché si possa formulare diagnosi endoscopica di esofagite è il riscontro di almeno una erosione a partenza dalla giunzione squamo-colonnare (esofagite di I grado di Savary-Miller). Non viene invece considerata importante la sola presenza di eritema della mucosa, dal momento che si tratta di un reperto aspecifico, spesso transitorio ( rilevabile nel 60% dei pazienti normali), soggetto alla variabilità del giudizio dell’osservatore.
L'esame istologico, generalmente, non è indicato per formulare la diagnosi di esofagite (sia in assenza che in presenza di erosioni) ma è necessario in presenza di complicanze (ulcere, stenosi) o in caso di sospetto di esofago di Barrett.
N.B. Per semplicità si conviene di definire come lieve l’esofagite di I grado di Savary (una o più erosioni lineari isolate al III distale esofageo) e come severa quella dal grado II al IV.

II. Stabilire se la sintomatologia è correlata al fenomeno del reflusso
Il raggiungimento di questo secondo obiettivo, cioè quello di dimostrare l’esistenza di un nesso causa-effetto tra il sintomo e il reflusso, diviene rilevante soprattutto in due circostanze: in alcuni pazienti in cui l’esame endoscopico risulta negativo ed in quelli con sintomi atipici. La metodologia diagnostica utilizzata a questo scopo è rappresentata dalla pH-metria esofagea di lunga durata. Essa costituisce l’unico mezzo per valutare l’esposizione all’acido della mucosa esofagea nell’arco delle 24 ore e soprattutto consente di stabilire l’esistenza di una relazione temporale tra il reflusso e l’insorgenza dei sintomi. Si tratta peraltro di una metodica invasiva, utilizzata solo in centri specialistici, la cui sensibilità diagnostica in genere non supera il 70%. E’ necessario pertanto che il suo impiego sia basato su corrette indicazioni cliniche.

Indicazioni alla pH-metria esofagea 24 ore nella mrge

  1. Nei pazienti con sintomi tipici o atipici ed esame endoscopico normale ma con scarsa risposta ad una terapia antisecretiva massimale (con IPP).
  2. Nei pazienti candidati all’intervento chirurgico
  3. Nei pazienti con sospetta recidiva dopo intervento chirurgico

TRATTAMENTO IN FASE ACUTA
Lo scopo della terapia della MRGE è quello di alleviare la sintomatologia dovuta al reflusso e di ottenere la guarigione delle lesioni anatomiche dell’esofago distale, quando presenti. Esso viene perseguito agendo su due momenti patogenetici fondamentali e cioè cercando di ridurre sia il fenomeno del RGE che la lesività del materiale che refluisce nei confronti della mucosa esofagea.
La riduzione del reflusso è difficile da raggiungere in maniera completa con la terapia medica mentre la riduzione della lesività del refluito può essere ottenuta con farmaci antisecretori ad azione potente e prolungata.
I mezzi a disposizione sono rappresentati da:

  1. un complesso di misure di carattere generale ( ridurre il peso corporeo se in eccesso - evitare cibi o sostanze potenzialmente reflussogene come cioccolata, menta, caffè, fumo - applicare norme posturali, tra cui l’elevazione della testiera del letto - evitare indumenti stretti in vita - ecc.),
  2. farmaci in grado di ridurre il reflusso ( cisapride )
  3. agenti farmacologici in grado di neutralizzare ( antiacidi, alginati ) od inibire la secrezione acida gastrica (anti-H2, IPP ).

Il trattamento in fase acuta della MRGE risulta efficace nella grande maggioranza dei pazienti .

Scelta del trattamento

  1. nei pazienti con sintomi ma senza esofagite o nei pazienti in cui non si procede all’esecuzione di un esame endoscopico l’opzione terapeutica è libera. La scelta della categoria di farmaci, della posologia e durata del trattamento dovrà essere basata soprattutto sulla severità della sintomatologia.
  2. nei pazienti con riscontro endoscopico di esofagite è indicato l’uso sin dall’inizio di IPP. La maggior parte dei dati disponibili in letteratura indica che la dose standard di IPP (omeprazolo 20 mg/die, lansoprazolo 30 mg/die, pantoprazolo 40 mg/die, rabeprazolo 20mg/die ), per 8 settimane, è in grado di guarire il 90% delle esofagiti di I grado. Nelle forme più severe è indicato l’impiego di dosi maggiori e/o di periodi più prolungati di trattamento. La scelta di terapie diverse (anti-H2 e/o procinetici ) è svantaggiosa sul piano del rapporto costo-beneficio per l’elevato numero di non-responders (circa 50% ) da cui queste terapie sono gravate.

TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE
Il trattamento in fase acuta della MRGE non è in grado di eliminare le cause della malattia, ma si limita a diminuire il potere lesivo del liquido che refluisce o a migliorare la motilità esofagea e gastrica, effetti questi che perdurano finchè viene somministrato il farmaco. Nel 50-80% dei casi sia i sintomi che l’esofagite si ripresentano nei 6-12 mesi dalla sospensione della terapia iniziale. Studi di follow-up dei pazienti con malattia da reflusso fino a 10 anni dalla diagnosi evidenziano come il 50-70 % continua ad avere bisogno di terapia a cicli o continua .
Pertanto è necessario prendere in considerazione una terapia di mantenimento atta a controllare i sintomi e, qualora sia presente esofagite severa (grado II-IV) a mantenerla guarita al fine di prevenire le complicanze . Tale terapia può essere attuata sia in maniera continuativa con la dose minima efficace in grado di controllare i sintomi e/o le lesioni mucosali, sia a domanda, cioè per periodi brevi di 2-4 settimane quando si ripresentano i sintomi.
Nei pazienti con sintomi saltuari e senza esofagite l’uso di antiacidi e/o citoprotettori al bisogno può essere sufficiente. Nei pazienti con recidive più frequenti senza esofagite o con esofagite lieve una efficace terapia di mantenimento può essere spesso attuata con l’uso degli H2-antagonisti e/o con la cisapride, sucralfato e alginato. Peraltro in una quota di pazienti senza esofagite o con esofagite lieve, oltrechè nella quasi totalità di forme severe, il controllo a lungo termine della malattia si ottiene solamente con IPP .

La terapia di mantenimento continua è consigliabile

· nei pazienti con esofagite iniziale severa ( > I grado)
· nei pazienti con frequenti recidive della sintomatologia, tipica o atipica
· in presenza di sintomi al momento della guarigione endoscopica
· nei pazienti che non rispondono alla terapia a domanda

 

La terapia a domanda è consigliabile

· in pazienti con sintomi lievi e recidive infrequenti.

 

Mrge ed helicobacter pylori
Alcuni dati suggeriscono come la terapia di mantenimento continua con IPP in
pazienti portatori di H. pylori possa favorire l’insorgenza di gastrite atrofica; d’altro canto l’eradicazione da H. pylori può rendere in alcuni casi meno efficace l’azione dei farmaci antisecretivi. Entrambe queste osservazioni non sono però state confermate da studi più recenti.
Pertanto per ora non vi è indicazione certa alla ricerca ed alla eradicazione dell’infezione da H. pylori prima di iniziare laterapia di mantenimento con IPP.

TERAPIA CHIRURGICA
L’interesse per questa opzione terapeutica è aumentato considerevolmente con l’avvento della videolaparascopia, che comunque non ha modificato le indicazioni all’intervento chirurgico. Per ottenere elevate percentuali di successo e bassa morbilità è necessario che venga effettuata da mani esperte; mancano tuttavia dati di follow-up a lungo termine (oltre 8 anni). In termini di costo/beneficio la terapia chirurgica in VLS equivale a 3-5 anni di terapia medica continuativa con IPP.

la terapia chirurgica è generalmente indicata

  • nei pochi pazienti che non rispondono alla terapia medica continua a dosaggi massimali con IPP, specie nei casi in cui persiste rigurgito complicato eventualmente da manifestazioni extraesofagee.

 

la terapia chirurgica è una opzione alla terapia medica a lungo termine

  • nei pazienti con scarsa compliance al trattamento
  • nei pazienti giovani, con evidenza di malattia da reflusso severa, nei quali si prospetta un trattamento farmacologico per tutta la vita

N.B. la presenza di un’ernia gastrica jatale non modifica le indicazioni alla terapia chirurgica.

ESOFAGO DI BARRETT

Definizione e diagnosi
Si definisce "esofago di Barrett" (EB) la presenza di epitelio colonnare con metaplasma nell’esofago distale; in genere tale condizione è determinata dal reflusso gastro-esofageo cronico. La diagnosi è basata essenzialmente sul reperto istologico-bioptico in quanto il solo esame endoscopico non è in grado di confermare nè di escludere con certezza tale condizione, soprattutto in presenza di infiammazione esofagea (specificità 86% sensibilità 64%). L’endoscopista deve sospettare un esofago di Barrett quando il giunto esofago-gastrico (limite superiore delle pliche gastriche o punto di passaggio tra l’esofago tubulare e lo stomaco sacciforme) e la linea "Z" (giunzione fra epitelio colonnare ed epitelio squamoso, individuata da un brusco cambiamento di colore della mucosa), non coincidono, come di norma, per risalita di quest’ultima.
Data la variabilità istologica della zona giunzionale si è adottato, per convenzione, il criterio di considerare affetti da EB solo i pazienti nei quali erano presenti almeno 3 cm di metaplasia colonnare. Più recentemente tuttavia si è proposto di considerare come EB tutte le forme in cui è presente metaplasia di tipo intestinale (la sola a rischio di cancerizzazione), anche se sotto ai 3 cm (Barrett corto).
La prevalenza del EB nella popolazione generale è sconosciuta, ma sicuramente tale affezione è sottostimata; la prevalenza in una casistica endoscopica italiana è stata dello 0,7% elevata al 10% nei pazienti affetti da MRGE. Il rischio di adenocarcinoma è superiore di 30-350 volte a quello della popolazione generale.

Monitoraggio e trattamento conservativo
L’interesse per tale patologia, relativamente infrequente, è dato dalla sua potenzialità neoplastica e dal notevole aumento degli adenocarcinomi del giunto esofago-gastrico negli ultimi 10 anni. La sorveglianza endoscopica è stata proposta pertanto con l’obiettivo di identificare l’adenocarcinoma in fase precoce e curabile, anche se a tuttoggi vi sono opinioni contrastanti sulla sua necessità ed i suoi tempi.
I pazienti ad alto rischio chirurgico (anziani, con patologie associate) andrebbero esclusi ab initio dalla sorveglianza, per la impossibilità di sopportare un eventuale intervento di chirurgia maggiore: i recenti trattamenti alternativi alla chirurgia maggiore peraltro li ricandidano al follow up.
La terapia medica è quella convenzionale della MRGE, sebbene molti pazienti con EB sintomatico spesso necessitino di una terapia di mantenimento continuativa; infatti la gestione terapeutica a lungo termine deve essere orientata a mantenere libero da infiammazione il tratto distale dell’esofago.

Terapia chirurgica e alternative
Diversamente dalla MRGE non complicata un Barrett che non raggiunga una completa remissione sintomatologica dopo 12 settimane di corretta terapia medica con IPP va valutato per un intervento di plastica anti-reflusso; inoltre tale indicazione deve essere considerata nei giovani ed in coloro i quali presentano il rigurgito come sintomo principale.
Recentemente sono apparsi dei lavori che segnalano la possibilità di reversibilità della metaplasia del EB con trattamenti laser di vario tipo e fotodinamici; questo approccio deve essere ulteriormente validato su grossi numeri di pazienti e con follow up di lunga durata, ma risulta essere sicuramente interessante, soprattutto nei casi ad elevato rischio chirurgico.

Metodologia del Follow up
Il follow up consigliato da diversi autori prevede:

  1. un controllo endoscopico-bioptico dopo 3 mesi di terapia con IPP, se nel primo esame era presente una forte infiammazione o della displasia (per rivalutare o confermare l’eventuale presenza di displasia, meglio evidente dopo la riduzione/scomparsa della reazione infiammatoria).
  2. successivamente si possono prevedere tre possibilità:
    1. in caso di assenza di displasia un nuovo controllo endoscopico-bioptico dopo due anni
    2. in caso di displasia indefinita o di basso grado controlli endoscopici annuali
    3. in caso di displasia di grado elevato un ricontrollo immediato di conferma e quindi o intervento chirurgico resettivo o controlli ogni tre mesi

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