TROVATO SU:
MIASTENIA
Giovanni
Antonini, Elisabetta Bucci, Vanessa Ceschin
La
miastenia gravis (MG) rappresenta, insieme alla sindrome
di Lambert Eaton e alla miastenia congenita, una delle malattie
della giunzione neuromuscolare.
Il
termine “gravis” è sostanzialmente da considerare anacronistico,
tenuto conto che, grazie alle acquisizioni relative ai meccanismi
fisiopatogenetici nella malattia e agli avanzamenti in campo
terapeutico, la MG costituisce oggi una delle malattie neurologiche
meglio curabili.
Anche se i primi casi della
malattia descritti in letteratura risalgono probabilmente
al XVII secolo, la MG ha acquisito una sua identità nosologica
alla fine del 1800, ad opra di Willhelm Erb, Samuel Goldflam
e in particolare di Friedrich Jolly. Quest’ultimo in particolare
coniò il termine di Miastenia Gravis Pseudoparalitica. L’era
del trattamento della malattia inizia negli anni 30, ad
opera di Mary Walker, che introdusse per prima l’uso degli
anticolinesterasici, dopo aver notato che la malattia produceva
un quadro clinico simile a quello dell’avvelenamento da
curaro. Nello stesso periodo venne messa in evidenza l’associazione
della MG con il timoma e fu Blalock il primo
proporre la timectomia nel trattamento della malattia.
Il grande avanzamento
nel campo della fisiopatogenesi della malattia avvenne dopo
gli anni 60 quando John Simpson propose l’etiologia autoimmune
della malattia, ipotesi confermata da Patrick e Lindstrom
che nel 1973 riuscirono a riprodurre il modello animale
della malattia inoculando nel topo recettori per l’acetilcolina
purificati, estratti dall’organo elettrico di pesce. Da
questa acquisizione si apre l’era del trattamento imunosoppressivo
della MG, che ha completamente modificato l prognosi di
quest malattia, la cui mortalità è scesa dal 30% degli anni
40, a quella attuale inferiore al 3%.
La MG è una
malattia relativamente rara. La sua prevalenza è stimata
di 50-120 casi per milione e la sua incidenza di 1/300.000.
Rispetto alla distribuzione per sesso e per età, ha una
tipica distribuzione bimodale, con un primo picco in cui
l’età di esordio è fra i 20-30 anni e con una prevalenza
per il sesso femminile ed un secondo picco fra 60-70 anni
con prevalenza per il sesso maschile.
Premesse
Anatomo-Fisiologiche
La MG è una
malattia autoimmune della giunzione neuromuscolare, provocata
da un anticorpo che agisce sul recettore per l’acetilcolina.
La giunzione
neuromuscolare è una struttura anatomicamente complessa,
a livello della quale il terminale nervoso motorio prende
contatto con la fibra muscolare. Si distinguono tre porzioni:
1)presinaptica, 2)intersinaptica, 3)postsinaptica. A livello
della porzione presinaptica sono presenti vescicole di dimensioni
variabili contenenti actilcolina (Ach). Ogni vescicola contiene
circa 10.000 molecole di Ach, che nel loro insieme costituiscono
un “quantum”. A livello della membrana presinaptica sono
presenti dei canali ionici voltaggio-dipendenti per il Ca++
(VGCaC), i quali volgono una funzione sostanziale nella
trasmissione neuromuscolare.
Lo spazio intersinaptico
contiene un materiale elettrondenso costituito da una membrana
basale che avvolge la membrana pre e post sinaptica e a
livello della quale sono agganciate molecole di acetilcolinesterasi,
l’enzima che idrolizza l’acetilcolina. La membrana postsinaptica
ha una struttura complessa, caratterizzata da numerose invaginazioni,
che consentono di avere la disponibilità di un’ampia superficie
di membrana in uno spazio ridotto. A livello delle pliche
della membrana postsinaptica sono situati i recettori per
l’Ach (AchR). Questi sono delle strutture complesse costituiti
da 5 subunità proteiche (a1a1b1ed nell’adulto, o a1a1b1gd
nel feto), le quali delimitano il canale ionico per
sodio e potassio. L’AchR è dotato di due siti di attacco
per l’Ach, situati fra le unità a1e e a1d.
La liberazione
di un quantum di Ach determina una variazione subliminale
del potenziale di membrana postsinaptica, che non raggiunge
il valore soglia per generare un potenziale d’azione e prende
il nome di micropotenziale eccitatorio di placca (MEPP).
La propagazione
di un potenziale d’azione a livello della membrana presinaptica
determina l’pertura dei VGCaC con un massiccio ingresso
di Ca++ nel terminale presinaptico. Ciò consente il legame, da parte di una proteina
di agganciamento (SNAPs), di proteine vescicolari (sinaptobrevina),
con proteine membranarie (sintaxina), consentendo la fusione
delle vescicole presinaptiche con la membrana presinaptica
e quindi l’esocitosi dell’Ach.
Circa 200 quanta di Ach vengono riversati nello spazio intersinaptico,
provocando una massiccia attivazione recettoriale che determina
l’apertura del canale ionico con spostamento del sodio e
del potassio attraverso la membrana e la generazione di
un potenziale eccitatorio di placca (EPP), prodotto dalla
sommazione dei singoli MEPP generati da ciascun quantum.
Raggiunto il valore soglia di eccitamento si genera un potenziale
d’azione che si propaga sul sarcolemma determinando i processi
fisiologici che provocano la contrazione della fibrocellula
muscolare. L’Ach liberata nello spazio intersinaptico è
idrolizzata dall’acetilcolinesterasi, permettendo quindi
al recettore di tornare alla sua posizione di riposo e quindi
consentendo un ulteriore evento elettrochimico.
La quantità di Ach normalmente riversata nello spazio intersinaptico e
la quantità di recettori presenti a livello della membrana
post-sinaptica sono normalmente eccedenti rispetto a quanto
occorre per raggiungere il valore soglia necessario all’eccitamento
della membrana pot-sinaptica. Questo eccesso costituisce
il cosiddetto fattore di sicurezza di placca.
Fisiopatogenesi
Dati clinici, sperimentali e di laboratorio confermano
che la MG è una malattia autoimmune dovuta ad anticorpi
che agiscono sul recettore per l’acetilcolina (AchRab).
I dati clinici sono rappresentati dall’esistenza della miastenia neonatale
(forma clinica autolimitantesi, che compare in alcuni neonati
da di madri miasteniche e regredisce spontaneamente nell’arco
di un mese circa) e dall’effetto terapeutico della plasmaferesi.
I dati di laboratorio derivano dal modello animale della
malattia, (ottenuto da Lindstrom immunizzando il topo con
recettori per l’acetilcolina purificati, ottenuti dall’organo
elettrico di torpedo) che è caratterizzato da una risposta
decrementale alla stimolazione ripetitiva e una risposta
terapeutica agli anticolinesterasici. Inoltre Toika ha potuto
indurre la miastenia nell’animale attraverso l’inoculazione
di anticorpi antirecettore Ach purificati da sangue umano
di pazienti miastenici.
Infine il dato di laboratorio è rappresentato dalla significativa frequenza
(80%) di anti-AchR-ab nella MG.
Si ritiene che l’azione degli anti-AchR-ab sui
recettori avvenga con meccanismi differenti. L’effetto di
blocco funzionale dell’AchR, che avrebbe un ruolo predominante
nella patogenesi dell’artrogriposi di neonati di madri miasteniche,
sarebbe ininfluente nel caso della MG. Sarebbero predominanti
invece due meccanismi d’azione: 1)accelerazione del turn-over
fisiologico degli AchR ed attivazione della cascata del
complemento con attivazione finale del complesso membranolitico
di attacco (MAC), il quale provocherebbe la lisi della membrana
postsinaptica.
Gli studi ultrastrutturali dimostrano effettivamente una grossolana
semplificazione della struttura della membrana postsinaptica,
che perde la sua struttura placata e si riduce in superficie.
L’effetto finale è comunque una drastica riduzione della
quantità di AchR disponibili e conseguentemente, sul piano
funzionale, una riduzione del fattore di sicurezza di placca.
Tale riduzione determina la formazione di EPP che non raggiungono il valore
soglia e quindi provoca il fallimento della depolarizzazione
di una percentuale di fibre muscolari, con conseguente debolezza
muscolare. Inoltre, con il persistere della contrazione
muscolare, si verifica una fisiologica deplezione dell’acetilcolina
presinaptica, asintomatica in condizioni di normalità, per
la presenza del fattore di sicurezza. Nella MG, la fatica
muscolare, determina il fallimento della depolarizzazione
di un numero crescente di fibre, con comparsa quindi della
paralisi del muscolo durante la fatica, sintomo caratteristico
di questa malattia.
Sintomatologia
I sintomi della malattia sono quindi caratterizzati
dalla paralisi muscolare, tipicamente ad andamento fluttuante,
spesso con variazioni temporali importanti (anche giornaliere),
in rapporto alla fatica, con netto peggioramento durante
lo sforzo e miglioramento con il riposo. Tale deficit
di forza migliora con l’assunzione di farmaci anticolinesterasici,
come i derivati della prostigmina. Questi infatti, inibendo
l’azione dell’AChE, bloccano l’drolisi dell’Ach e ne prolungano
la permanenza a livello dello spazio intersinaptico, aumentando
le probabilità di interazione con il recettore e quindi
facendo fronte alla riduzione del fattore di sicurezza di
placca.
I sintomi descritti possono interessare tutti i mm. scheletrici, ma quelli
più costantemente utilizzati sono più coinvolti. L’interessamento
dei muscoli orbitari determina la ptosi palpebrale e l’oftalmoplegia.
L’oftalmoplegia interessa distretti muscolari nel modo più
vario, con frequenti modificazioni. Il paziente lamenta
diplopia e l’esame clinico mette in evidenza uno strabismo.
Entrambi si accentuano costringendo il paziente ad effettuare
movimenti oculari estremi. Così anche la ptosi si accentua
(o compare) quando il paziente si impegna per alcuni secondi
a guardare verso l’alto. E’ estremamente frequente la debolezza
dei mm. mimici (gli orbicolari delle palpebre in particolare,
anche se spesso il paziente avverte una sensazione di “strano
impaccio” a livello delle labbra). L’interessamento dei
mm. faringo-laringei determina rigurgito dei liquidi dal
naso e voce nasale, più marcata dopo aver parlato
lungo. L’interessamento dei mm. masticatori provoca
problemi durante la masticazione di cibi solidi. I disturbi
della masticazione e della deglutizione possono essere così
importanti da richiedere l’ausilio di un sondino naso-gastrico
per l’alimentazione e l’assunzione delle terapie. Frequente
è la debolezza dei mm. flessori del collo. Nelle forme generalizzate
i sintomi coinvolgono in forma più o meno grave i mm. cingolari
con difficoltà a tenere le braccia sollevate, anche per
poco tempo, a sostenere pesi, a salire le scale, cadute
a terra durante la deambulazione. L’interessamento dei mm.
respiratori è la complicanza più temibile, in quanto comporta
un’insufficienza ventilatoria per la quale c’è l’assoluta
indicazione alla ventilazione assistita. La incapacità di
effettuare colpi di tosse validi deve allarmare il medico
per il rischio di disturbi respiratori.
Tradizionalmente la miastenia gravis viene classificata clinicamente in
accordo con la classificazione proposta da Ossermann e Jenkins
che distingue 5 forme cliniche (tab..). Tuttavia tale classificazione
si rivela di scarsa utilità clinica, e questo appare tanto
più evidente se prendiamo in considerazione la storia naturale
della malattia.
Storia naturale
Il 50% dei casi di MG esordiscono con sintomi
oculari. Di questi il 40% circa rimane confinato ai mm.oculari.
mentre il 35% si generalizza, il 15% sviluppa sintomi bulbari,
il 10% sviluppa sintomi che restano limitati agli arti.
Le remissioni spontanee, più frequenti nei bambini, si verificano nel 10-20%
circa dei casi nei primi 10 anni e il 18% presenta miglioramenti
spontanei dei sintomi.
La mortalità è andata decrescendo in maniera progressiva, dal 31% nel periodo
dal 1940 al 1957, fino all’attuale 5%. Si calcola una mortalità
del 25% nelle forme non trattate. La fascia d’età a mortalità
più alta è tra i 40 e i 50 anni.
Diagnosi
La diagnosi di MG si basa su criteri clinici,
neurofisiologici, farmacologici e di laboratorio.
La diagnosi clinica consiste essenzialmente nel rilevare la presenza di
debolezza muscolare, che si aggrava con l’esercizio fisico
e migliora con il riposo.
La diagnosi neurofisiologica si avvale di due test. Il test di Desmedt
(o di stimolazione ripetitiva) consiste nel valutare le
variazioni di ampiezza del potenziale muscolare composto
registrato da un muscolo durante la stimolazione ripetitiva
a bassa frequenza (2-3 Hz) del nervo. L’EMG di fibre singole
permette di valutare il Jitter, che è la fisiologica oscillazione
temporale che esiste nella dpolarizzazone di due fibre muscolari
facenti parte della stessa unità motoria. Nella MG si osserva
un incremento del jitter e la presenza di blocchi. Quest’ultimo
test ha una sensibilità elevata (98%) rispetto al tst di
Desmedt (70%), ma ha una specificità più basa, per cui è
più alto il rischio di false positività.
Il test farmacologico consiste nel somministrare un anticolinesterasico
e valutare la modificazione dei segni neurologici. In genere
viene utilizzato il cloruro di edrofonio (Tensilon), per
la sua potenza, rapidità di azione e breve durata.
Il test di laboratorio è rappresentato dal dosaggio degli Anti-AchR-ab.
Si tratta di un test di elevata specificità (99%), ma di
sensibilità relativamente bassa (80%), dovuta all’esistenza
di forme di MG sieronegative.
La MG sieronegativa
L’esistenza di forme sieronegative di MG è un’acquisizione
derivata dalla messa a punto della metodica di dosaggio
degli anti-AchR-ab.
La sieroconversione di forme sieronegative in sieropositive ha una rara
frequenza, per cui la forma sieronegativa della MG costituisce
un’entità nosologica a se stante. Ha una prevalenza media
nelle diverse casistiche che oscilla intorno al 20% dei
casi di MG senza timoma, con un’analoga frequenza nei due
sessi. L’età media di esordio è intorno ai 40 anni. Dal
punto di vista clinico predominano forme oculari (20-50%),
ma si può manifestare anche in forma generalizzata (5-25%).
Anche la forma sieronegativa è immunomediata, come dimostrato
dalla risposta alla plasmaferesi e ai trattamenti immunosioppressivi,
e una elevata percentuale di pazienti presenta una positività
per un anticorpo diretto contro il complesso MUSK, una proteina
stabilizzante del recettore.
MG e timo
Uno dei problemi nella immunopatogenesi della
MG è il ruolo svolto dal timo. Che esista una relazione
tra patologia timica e MG è un fatto acquisito da una serie
di osservazioni cliniche ed epidemiologiche. La prima timectomia
praticata in un paziente miastenico portatore di timoma
determinò un miglioramento della sintomatologia, e, anche
se allo stato attuale non esiste un trial clinico controllato
dell’efficacia della timectomia nella MG, è nozione comune
che essa ha un effetto terapeutico sulla malattia. I dati
epidemiologici sono i seguenti: nel 10-15% di pazienti con
MG è presente un tumore timico, nel 60-80% è presente un’iperplasia
follicolare del timo (soprattutto nei pazienti di età inferiore
ai 50 anni), mentre nel 20% è presente un’involuzione timica
(prevalente in pazienti di età superiore ai 50 anni).
Anche se non ci sono elementi di certezza sul ruolo che il timo svolge
nella immunopatogenesi della malattia, l’osservazione che
lo stroma del timo di topo giovane contiene cellule progenitrici
mioidi che esprimono abbondanti AChR e che una frazione
proteica del timo cross-reagisce con AChR isolato da organo
elettrico di pesce, ha portato a formulare l’ipotesi timica
sulla immunopatogenesi della miastenia. Secondo tale ipotesi,
cellule mioidi timiche possono attivare T-cells autoreattive
miastenogene. Un fattore ignoto (infiammazione?) determinerebbe
una reazione cellulare contro le cellule mioidi. Cellule
timiche interdigitate, a potenzialità macrofagica fagocitano
i frammenti di cellule mioidi e presentano frammenti peptidici
del recettore alle T-cells, su un MHC di classe II, le quali
a loro volta attivano B cells nella produzione di anticorpi
IgG diretti contro l’AchR.
Classificazione
clinica della MG
La moderna classificazione clinica della MG si
basa sui dati epidemiologici, sulle caratteristiche delle
alterazioni timiche e dei dati bioumorali. Tale classificazione
costituisce un importante presupposto anche per l’impostazione
dell’approccio terapeutico alla malattia.
Si distinguono le seguenti forme:
1)MG associata a Timoma: ha un picco di frequenza intorno ai 50 anni, e
si associa a positività degli antiChRab, insieme a positività
di anticorpi anti-titina e anti-rianodina.
2)MG sieropositiva senza timoma ad esordio prima dei 50 anni: ha un’elevata
frequenza di iperplasia timica, e maggiore frequenza nelle
femmine.
3)MG sieropositiva ad esordio dopo i 50 anni: mostra un’elevata frequenza
di involuzione timica, e maggiore frequenza nei maschi.
4)MG sieronegativa: in genere non si associa a patologia timica, ha un
picco di frequenza intorno ai 40 anni e uguale frequenza
fra i sessi.
Terapia (J. Newsom-Davis)
Trattamento
iniziale
La
maggior parte dei pazienti rispondono bene alla terapia
con anticolinesterasici. Tra questi, quello piu’ usato e’
la piridostigmina. Una dose iniziale di 30 mg puo’ essere
somministrata quattro o cinque volte al giorno, aumentando
fino a 60 o 90 mg se necessario. La neostigmina (15 mg)
può essere un’alternativa alla piridostigmina, ma la sua
azione e’ piu’ breve e non offre nessun vantaggio rispetto
alla piridostigmina. Questi farmaci utilizzati a dosaggi
elevati possono causare frequentemente sintomi muscarinici
che possono essere controllati parzialmente con propantelina,
15 mg due o tre volte al giorno. Un trattamento prolungato
con dosi elevate di anticolinesterasici può determinare
un’intossicazione della placca con
down-regulation dei recettori per l’Ach e un difetto
della trasmissione neuromuscolare con aspetti clinici simili
a quelli della miastenia. Questa è un’eventualità che occorre
più frequentemente in pazienti con forme generalizzate,
con scarso equilibrio neuromuscolare e spesso anche con
insufficienza ventilatoria. In questo caso, se il paziente
è in ventilazione assistita, il trattamento comporta la
sospensione del farmaco per 72 ore e il successivo ripristino
della terapia a dosi più basse.
I pazienti che restano ancora sintomatici nonostante una terapia
con anticolinesterasici, o quei pazienti che hanno un timoma,
necessitano di una terapia aggiuntiva, come verra’ descritto
piu’ avanti per i diversi gruppi di pazienti.
Timoma
La
presenza di un timoma, documentata dagli esami radiologici,
rappresenta una indicazione alla timectomia a causa del
rischio di una infiltrazione locale o di metastasi a livello
della cavita’ pleurica. Tuttavia, la timectomia, non sempre
si associa con un miglioramento dei sintomi miastenici,
e molti di questi pazienti necessitano di una terapia con
farmaci immunosoppressori (vedi avanti). I tumori invasivi
che non possono essere rimossi completamente richiedono
una radioterapia locale e/o una chemioterapia (Hejna et
al., 1999). La tecnica della timectomia deve consentire
un’asportazione radicale del timo. Molti chirurghi utilizzano
la via transternale, ma in uno o due centri viene utilizzata
la via endoscopica video-guidata (Mantegazza et al., 1998).
I pazienti che
non sono in grado di essere sottoposti all’intervento a
causa della sintomatologia miastenica necessitano di una
terapia immunosoppressiva iniziale. In alcuni pazienti,
la plasmaferesi o la terapia con immunoglobuline endovena
(vedi avanti) puo’ essere sufficiente come preparazione
all’intervento, ma in altri e’ consigliabile raggiungere
un buon controllo della malattia attraverso una terapia
immunosoppressiva prima di procedere all’intervento.
MG sieropositiva,
generalizzata ad esordio prima dei 50 anni.
I
pazienti appartenenti a questo gruppo, sono quelli che traggono
maggior beneficio dalla timectomia. Non sono stati ancora
effettuati studi prospettici randomizzati sull’efficacia
della timectomia in nella MG sieropositiva non associata
a timoma, ma i risultati raccolti da un numero di studi
retrospettivi su adulti sottoposti a timectomia, indicano
che ci si puo’ attendere una remissione in circa il 25%
dei pazienti, un miglioramento nel 50% ed una stabilità
del quadro clinico nella restante parte. Non vi e’ alcuna
dimostrazione del fatto che la timectomia provochi un peggioramento
della miastenia o che abbia un effetto deleterio sul sistema
immunitario. La maggior parte dei miglioramenti avvengono
nel primo anno, ed e’ completo entro la fine del terzo anno.
Ci sono delle buone ragioni teoriche per ritenere che e’
meglio effettuare la timectomia precocemente. L’indicazione
alla timectomia in questi pazienti viene posta indipendentemente
dal risultato degli esami radiologici del mediastino. La
TC del torace infatti, che mostra un buon potere predittivo
positivo per il timoma, non da indicazioni utili nell’iperplasia
timica.
Spesso ci sono
difficolta’ nel decidere se sottoporre i bambini con una
miastenia sieropositiva a timectomia, ed i dati a disposizione
sono pochissimi. Tuttavia, almeno nei bambini piu’ grandi
(9 anni), l’outcome e’ simile a quello dei giovani adulti
(Seybold, 1998).
Come per i pazienti
con timoma, i pazienti candidati all’intervento, dovrebbero
essere sottoposti inizialmente ad una immunoterapia a breve
termine con plasmaferesi o immunoglobuline endovena (vedi
di seguito).
Forma sieropositiva,
generalizzata ad esordio dopo i 50 anni.
Il
timo in questi pazienti e’ spesso atrofico, in accordo con
l’eta’ (Aarli, 1999), e le cellule timiche in coltura producono
pochissimi se non addirittura nessun anticorpo anti-AchR.
Inoltre, spesso i pazienti rispondono bene alla terapia
immunosoppressiva. Pertanto la timectomia non è indicata
in questi pazienti, anche se il limite di età tende sempre
più a spostarsi verso i 60 anni.
Forma sieronegativa, generalizzata
Il
timo di questi pazienti non sembra differire in maniera
significativa da un timo normale (Verma e oger, 1992), e
le cellule timiche in coltura non producono anticorpi anti-AchR.
Sebbene ci siano opinioni diverse riguardo il beneficio
della timectomia in questo gruppo di pazienti, non ci sono
basi sufficienti per raccomandare la timectomia in questi
pazienti.
Forma oculare, sieropositiva o sieronegativa
La miastenia oculare, non
ben controllata dalla terapia con anticolinesterasici, di
solito ha una buona risposta al trattamento orale con corticosteroidi
(Evoli et al., 1988). La timectomia non e’ appropriata in
questo gruppo, particolarmente nelle forme sieronegative,
ed è raccomandata da pochi neurologi (Lanska, 1990).
Il prednisone puo’ essere prescritto a giorni alterni (per ridurre
il rischio di una recidiva indotta dagli steroidi), con
una dose iniziale di 5 mg da prendere subito dopo la prima
colazione. La dose viene poi aumentata progressivamente,
ad esempio di 5 mg ogni settimana, fino alla remissione
dei sintomi o fino a che non venga raggiunta una dose iniziale
di mantenimento di 1 mg/kg. E’opportuno effettuare progressivamente
l’incremento delle dosi per evitare il possibile peggioramento
dei sintomi miastenici che si osserva talora all’inizio
della terapia steroidea. La dose terapeutica dovrebbe essere
mantenuta costante fino a che i sintomi non sono pienamente
controllati per 2-3 mesi, poi si puo’ iniziare a ridurre
progressivamente (5 mg ogni mese). Lo scopo è di stabilire
la dose minima necessaria. Quindi, quando i sintomi ricompaiono
durante la riduzione della dose, la dose dovrebbe essere
riaumentata per ristabilire il controllo dei sintomi. E’
raro riuscire a ridurre il prednisone fino a sospenderlo
completamente, senza avere una ricomparsa dei sintomi. La
quantita’ di prednisone da ridurre deve essere molto piccola
e deve essere ridotta molto lentamente, anche quando la
dose raggiunta e’ molto bassa, per esempio 1 mg al mese
al dosaggio di 10 mg o inferiore.
Gli effetti
collaterali dei corticosteriodi sono ben conosciuti e talvolta
richiedono una modificazione della terapia. L’uso di bifosfonati,
soprattutto nelle donne in postmenopausa, e la disponibilita’
di esami diagnostici per la valutazione della densita’ ossea,
ha ridotto l’incidenza di osteoporosi indotta da steroidi.
I cambiamenti di umore, specialmente la depressione, talvolta
richiedono una modificazione della terapia. In alcuni pazienti,
puo’ essere presa in considerazione l’azatioprina, che comunque
ha una lunga latenza d’azione (vedi di seguito). Né il diabete insulino-dipendente né
quello non insulino-dipendente, rappresentano delle controindicazioni
alle terapia con corticosteroidi in pazienti con sintomi
oculari importanti.
I pazienti devono
essere informati fin dall’inizio della terapia che la riposta
iniziale al trattamento potrà avere delle oscillazioni quotidiane
e che potranno essere necessarie diverse settimane prima
di avere una buona risposta alla terapia.
Forme generalizzate,
sieroposistive o sieronegative, che richiedono una terapia
immunosoppressiva
La terapia immunosoppressiva
di solito e’ indicata per i pazienti sintomatici che, pur
ricevendo una adeguata terapia con anticolinesterasici,
non hanno risposto adeguatamente alla timectomia, o per quei pazienti nei quali la
timectomia non è indicata.
Molti studi
retrospettivi hanno dimostrato l’efficacia della terapia
con corticosteroidi. Tuttavia, il trattamento iniziale puo’
associarsi ad un peggioramento improvviso e talvolta pericoloso,
che probabilmente giustifica il fatto che questo trattamento
sia stato introdotto con ritardo nella terapia per la miastenia.
Un recente studio, randomizzato in doppio cieco, ha messo
a confronto una singola dose di metilprednisolone endovena
con il placebo ed ha mostrato un aumento significativo della
forza nel gruppo che riceveva il preparato attivo, con una
durata media di 8 settimane (Lindberg et al., 1998). Non
sono stati riferiti significativi effetti collaterali. Tuttavia,
non e’ stata stabilita’ l’utilita’ di questo tipo di trattamento
rispetto alla somministrazione regolare per via orale.
Il prednisone
puo’ essere prescritto sia a giorni alterni che quotidianamente.
La terapia a gg. alterni riduce il rischio di complicanze.
La dose viene aumentata di 5 mg a settimana, come per i pazienti
con sintomi solo oculari (vedi sopra) iniziando da una dose
di 5 mg a giorni alterni, fino a che non viene raggiunta
la remissione dei sintomi o fino a raggiungere una dose
di 1-1.5 mg/kg (fino a un massimo di 100 mg a gg. alterni).
I pazienti con un quadro clinico piu’ severo, specialmente
quelli con sintomi bulbari o con un interessamento dei muscoli
respiratori, dovrebbero essere trattati in ambiente ospedaliero.
In questo caso, la dose puo’ essere aumentata piu’ velocemente,
per esempio di 10 mg ad ogni dose, così da raggiungere la
dose iniziale di mantenimento di 100 mg entro 3 settimane.
Nei pazienti con un severo interessamento dei muscoli respiratori
che ricevono una ventilazione assistita, il prednisone puo’
essere iniziato a dose piena (per esempio 100 mg). La plasmaferesi
o le immunoglobuline possono essere utilizzate, se necessario,
per controllare i sintomi durante l’induzione con steroidi.
L’azatioprina e’ stata utilizzata nel trattamento della MG per
piu’ di 20 anni, ma solo recentemente e’ stata oggetto di
studi randomizzati. I primi studi ne hanno dimostrato l’efficacia,
ma hanno anche dimostrato che la sua azione e’ molto lenta,
e nei pazienti in fase acuta questo puo’ essere un serio
problema. I pazienti che ricevono l’azatioprina devono eseguire
un controllo della conta leucocitaria e degli enzimi epatici
ogni settimana per 2 mesi circa, e successivamente tre volte
al mese. Una mielodepressione così severa da richiedere
la sospensione della terapia e’ estremamente
rara. Circa il 10-15% dei pazienti hanno una reazione
allergica acuta, che si manifesta con sintomi gastrointestinali.
Il linfoma a cellule B e’ un raro effetto indesiderato,
ed e’ una conseguenza dell’azione immunosoppressiva del
farmaco, che aumenta inoltre il rischio di infezioni.
Il prednisone in associazione con l’azatioprina (2.5 mg/kg)
e’, al momento, il trattamento di scelta nei pazienti miastenici
con una malattia moderata o severa. La dose di prednisone
necessaria a mantenere la remissione dei sintomi e’ stata
valutata in uno studio randomizzato in doppio-cieco, nel
quale e’ stato confrontato il prednisone in associazione
con l’azatioprina e il prednisone con il placebo (Palace
et al., 1998). La terapia combinata si associava ad un numero
piu’ basso di fallimenti terapeutici, a remissioni piu’
lunghe ed a una
dose di prednisone significativamente piu’ bassa a tre anni.
In effetti, oltre il 60% dei pazienti appartenenti al gruppo
della terapia combinata non necessitavano del prednisone
per piu’ di tre anni, e la remissione dei sintomi veniva
raggiunta con la sola azatioprina. Tuttavia, lo studio mostrava
anche che l’azione dell’azatioprina diventava evidente solamente
dopo 15 mesi dall’inizio del trattamento. La terapia combinata
era inoltre in piccola parte meglio tollerata rispetto alla
terapia con solo prednisone.
Per i pazienti
che non tollerano l’azatioprina le alternative sono rappresentate
dalla ciclosporina orale (2-5 mg/kg/die) o dal metotrexate
(10-15 mg a settimana).
Le crisi miasteniche o colinergiche
In
entrambe le situazioni e’ essenziale il controllo delle
vie aeree, la ventilazione assistita e l’inserimento di
un sondino nasogastrico. Inizialmente, nei pazienti con
crisi miastenica non in trattamento, la terapia con anticolinesterasici
puo’ dare un rapido miglioramento. Nei pazienti che gia’
stanno ricevendo una terapia con anticolinesterasici, un
ulteriore aumento del dosaggio dovrebbe essere evitato a
causa del rischio di indurre crisi colinergiche. Nei pazienti
con crisi colinergiche, la terapia con anticolinesterasici
dovrebbe essere sospesa.
La plasmaferesi
o le immunoglobuline endovena possono essere utilizzate
per avere un controllo a breve termine dei sintomi miastenici.
La plasmaferesi dovrebbe essere eseguita giornalmente per
5 giorni. Un volume equivalente al volume plasmatico viene
rimosso ad ogni seduta e sostituito con una combinazione
di albumina, plasma expander e destrosio. Le immunoglobuline
endovena (0.4 gr/kg) vengono somministrate di solito per
5 giorni. Recentemente uno studio randomizzato, che confrontava
i due trattamenti, misurando il miglioramento al 15° giorno
dall’inizio della terapia, non ha mostrato nessuna differenza
significativa tra 3 giorni di plasmaferesi e 3 o 5 giorni
di immunoglobuline endovena (Gajdos et al., 1997). Tuttavia,
alcuni pazienti che non hanno risposto alla plasmaferesi,
possono avere una risposta positiva a questo trattamento
dopo una somministrazione di immunoglobuline endovena. Questi
trattamenti “passivi” non dovrebbero essere utilizzati da
soli nella terapia a lungo termine della MG; e’ necessario
associare sempre una adeguata terapia immunosoppressiva.
Gravidanza e miastenia neonatale
Il
decorso della MG durante la gravidanza e’ variabile (Batocchi
et al., 1999). Circa il 20% delle pazienti non trattate
peggiorano. In quelle che ricevono una terapia, circa il
40% restano immodificate, un altro 40% migliora ed il restante
20% peggiora. C’e’ inoltre un 30% di rischio di peggioramento
nei mesi successivi al parto.
Le donne nelle
quali la MG richiede un trattamento con farmaci immunosoppressori,
quali prednisolone e azatioprina, non dovrebbero essere
scoraggiate dall’avere una gravidanza nel caso lo desiderino,
o incoraggiate a sospendere il loro trattamento.
Non c’e’ alcuna
evidenza convincente che l’azatioprina sia dannosa durante
la gravidanza e molti bambini sani sono stati concepiti
e sono nati mentre le loro madri stavano ricevendo questa
terapia. (d’altro canto pero’ si sa che alcuni farmaci immunosoppressivi
sono teratogeni, come ad esempio il metotrexate e la ciclofosfamide).
La sospensione della terapia, potrebbe essere un rischio
sia per la madre che per il figlio, poiche’ aumenterebbe
il rischio di miastenia neonatale e di artrogriposi multipla
congenita. Una paziente con MG seguita da Newsom-Davis,
che aveva perso numerosi bambini come conseguenza dell’artrogriposi
(Barnes et al., 1995), era stata successivamente trattata
con timectomia, prednisolone e azatioprina. Mentre stava
ancora ricevendo i farmaci immunosoppressivi, ha concepito
e dato alla luce un bambino sano.